Prima del gelo calato su cavi e rotaie, le nostre Ferrovie dello Stato erano andate in tilt su un preciso mandato dell’unico azionista, cioè il ministero dell’Economia e quindi, in ultima istanza, tutti noi cittadini. L’ordine era di mettere sul mercato una quota dell’azienda, magari partendo dalla parte più pregiata dell’alta velocità. I concorrenti privati di Italo ci sono riusciti in quattro e quattr’otto, facendoci pure un mucchio di milioni. Il manager renzianissimo Renato Mazzoncini, un passato alla guida – neanche a dirlo – dell’azienda degli autobus di Firenze, aveva iniziato a lavorarci, finché non si è buttato su un altro binario: invece di privatizzare l’azienda e chiedere i soldi in Borsa ha scelto di statalizzare ancora di più, utilizzando la scorciatoia della fusione con l’Anas. Gli specialisti delle ferrovie e delle strade insieme, insomma, con il rischio di non saper più ben gestire né i treni, né le autovie e i caselli. La scorciatoia di Mazzoncini un traguardo però l’ha centrato di sicuro: ha permesso al governo Gentiloni di premiare tutti i manager (scelti però dal precedente Esecutivo di Renzi) confermandoli per un nuovo mandato che di fatto ne ha allontanato di altri tre anni la scadenza. Eppure la mancata quotazione non era l’unica “pecca” di un management accusato apertamente di investire poco sulle tratte regionali e sui treni dei pendolari, con l’episodio gravissimo del deragliamento di un treno il 25 gennaio scorso nei pressi di Milano, con tre morti. Su questo episodio sta indagando la magistratura, ma a quanto trapela sui binari mancava la manutenzione. Un indizio che adesso diventa ancora più forte nell’osservare i tabelloni delle stazioni pieni di giganteschi ritardi. Il Buran sarà anche una calamità naturale, ma certi cataclismi dell’uomo non li batte nessuno.
Gelicidio – In un articolo di pochi mesi fa sul Secolo XIX a firma Alessandro Cassinis si spiega bene il fenomeno del gelicidio: quando la temperatura al suolo “è appena inferiore allo zero e in quota ci sono correnti più calde”, e la pioggia, la pioggerellina o anche solo l’umidità, “invece di cadere sotto forma di neve, scendono allo stato liquido e gelano appena toccano il suolo”. Risultato: “Sui cavi di rame ad alta tensione della linea aerea ferroviaria si forma un manicotto gelato che impedisce al pantografo dei locomotori di captare la corrente”. Un fenomeno che, però, non si verifica sulle linee ad alta velocità, perché “queste linee sono alimentate a 25mila volt a corrente alternata e i cavi di rame sono più sottili – spiegava il Secolo XIX -. Anche in presenza di gelicidio è più facile captare la corrente. Ma è un’eccezione che riguarda solo 6-700 chilometri su 12mila di rete ferroviaria elettrificata”. Per il resto, i treni italiani viaggiano a corrente continua a tremila volt, sotto un cavo di rame di diametro maggiore e spesso accoppiato. “Alle stesse latitudini, i francesi usano linee da 1.500 volt in corrente continua – prosegue l’articolo -. Più a Nord, svizzeri, austriaci e tedeschi vanno a 15mila volt in corrente alternata monofase. Negli anni, inoltre, Rfi ha rimediato assicurando il riscaldamento alla quasi totalità degli scambi della rete”. Ma non si può immaginare uno sviluppo tecnologico altrettanto imponente per prevenire gli effetti del gelicidio? Evidentemente sì, ma di doppia trazione, elettrica e diesel, ai treni che vanno su percorsi a rischio nei mesi invernali neppure si parla.