Di settennio in settennio, il risultato non cambia. L’Italia è così: con il Fondo Coesione non riusciamo proprio a migliorare nella gestione. Non è andata bene nel ciclo di programmazione 2007/2013, chiuso in ritardo sulla tabella di marcia solo lo scorso anno; non è partita bene nemmeno col successivo ciclo 2018/2020. A dirlo, nero su bianco, è una corposa relazione della Corte dei conti pubblicata a fine anno. Nelle oltre 300 pagine del report i magistrati contabili si soffermano anche sui fondi messi a disposizione delle Regioni italiane, specie quelle meno sviluppate, per una variegata gamma di progetti, dall’ambiente all’agenda digitale, passando per occupazione e infrastrutture. Il bilancio, però, è tutt’altro che positivo. Partiamo, però, dal conteggio economico. Fino al 2020 avremo a disposizione 75,7 miliardi di euro, frutto dei Fondi Ue per 44,4 miliardi (il più alto tra i Paesi membri, dopo solo alla Polonia), un cofinanziamento nazionale di 31,2 miliardi e un ulteriore contributo da parte dei privati di circa 19 miliardi. Fin qui, tutto bene. Sono, però, le conclusioni cui giunge la Corte che lasciano pensare e non poco. Prendiamo i pagamenti accertati finora. Prendiamo i cosiddetti Pon, Programmi Operativi Nazionali (che si distinguono dai Por, Programmi Operativi Regionali). Da soli equivalgono a 16 miliardi dei 75 complessivi. Ebbene, rispetto agli stanziamenti “la percentuale media di attuazione […] è pari al 3,63%”. Parliamo, in soldoni, di appena 585 milioni di euro. Non solo: si raggiungono “livelli nulli per il Pon Pmi, Governance e Capacità istituzionale” e “prossima allo zero per il Pon Inclusione, Legalità e Città metropolitane”. Per dire: il programma “Ricerca e Innovazione” ha un budget di 1,2 miliardi. Quanto è stato speso fino ad oggi? Zero euro.
Bocciatura totale – Ma c’è di più. “La spesa fino ad ora sostenuta – precisano i magistrati contabili – è riferibile prevalentemente all’assistenza tecnica prevista a supporto della gestione dei Programmi, attività questa da intendersi come meramente propedeutica all’avvio effettivo della Programmazione medesima”. Come se non bastasse, a dicembre 2017, quando la relazione è stata redatta, non risultavano ancora completate del tutto le procedure relative alle disegnazioni delle Autorità di gestione di alcuni dei Programmi. “Tali ritardi – continua la relazione – hanno evidentemente compromesso la messa a regime dei Programmi fino a questo momento, sebbene, ragionevolmente, la conclusione delle procedure in questione sia prossima”. Una situazione preoccupante, dunque, tanto che la Corte sottolinea come le conseguenze “potrebbero essere molto critiche, qualora questa situazione di quasi stallo non trovi una decisa accelerazione”. Il conto complessivo, d’altronde, non ammette alibi. Secondo l’ultimo aggiornamento, l’Italia è riuscita a liquidare solo il 2,4% della cifra e a impegnarne il 32%. Troppo poco considerando che, teoricamente, mancherebbero due anni alla fine del ciclo di programmazione. A questo punto la domanda: di chi la colpa? Leggiamo ancora la relazione: “Tra i rimedi necessari per cercare di invertire questo trend vizioso, al primo posto v’è sicuramente la necessità di migliorare decisamente la capacità di programmazione”. Purtroppo, aggiungono i magistrati, “questo è un rilievo che la Corte rinnova puntualmente e che altrettanto puntualmente viene disatteso”. Curioso vista la corposa macchina burocratica che si occupa del Fondo per la Coesione.