No, non è il celebre film con Aldo, Giovanni e Giacomo. Anche se il titolo potrebbe essere lo stesso: Chiedimi se sono felice. Ma pur sempre di felicità stiamo parlando. Quella degli italiani, ‘misurata’ attraverso gli indicatori del benessere equo e sostenibile (Bes) – introdotti dalla riforma del bilancio dello Stato varata nel 2016 – che saranno illustrati domani al Parlamento da una relazione del ministero dell’Economia (Mef).
Non si vive di solo Pil – Un’innovazione importante che, come spiega un focus dell’Ufficio valutazione impatto del Senato, segna di fatto il superamento del Prodotto interno lordo (Pil) come unico indicatore del benessere. Allargando l’analisi ad ulteriori parametri anche extra-economici. Insomma, ricchezza e felicità non sempre vanno di pari passo. Basti pensare che “nel 2017 l’Italia rientrava nel 16% dei paesi più prosperi, ma era solo al 48° posto (su 155) secondo il World Happiness Report”. In sostanza, “a parità di Pil, rispetto ad altri Paesi all’Italia mancano alcuni fattori di felicità”. Perché? Stando al focus dei tecnici di Palazzo Madama, sono principalmente due le variabili ad incidere negativamente. Innanzitutto “la scarsa libertà di fare scelte di vita”. Secondo, “la percezione della corruzione”. Tra le principali variabili utilizzate per rilevare il grado di benessere dei cittadini – in tutto una dozzina – il Governo ha anticipato al Documento di economia e finanza 2017 l’inserimento di un primo gruppo di quattro indicatori sui quali si concentrerà la relazione del Mef.
Questione di variabili – A cominciare dall’indice di disuguaglianza del reddito, che nel 2016 era rispettivamente 6,3 e 6,4 nelle rilevazioni dell’Istat e del Mef. Ciò vuol dire che il reddito del 20% della popolazione con più alto reddito era 6,3 (Istat) e 6,4 (Mef) volte più alto di quello percepito dal 20% della popolazione con più basso reddito. Poi c’è il reddito medio annuo aggiustato pro capite. Aggiustato in quanto “inclusivo del valore dei servizi in natura forniti dalle istituzioni pubbliche senza fini di lucro”. Che nel 2016 si è attestato sui 21.725 euro. Terzo: tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro, dato dal “rapporto tra il totale di disoccupati e le forze di lavoro potenziali tra i 15 e i 74 anni e la forza lavoro effettiva e pontenziale”. Un indicatore che tiene conto, quindi, anche del fenomeno dello scoraggiamento. Nel 2016, stando alle elaborazioni del Mef su dati Istat, erano 21,6 su 100 le unità che non partecipavano al mercato del lavoro. Dieci anni prima, nel 2006 lo stesso indicatore era fermo a 14,5. Poi ci sono le emissioni di anidride carbonica e altri gas clima alteranti: 7,40 tonnellate per abitante nel 2016. Dal 2018, saranno introdotti altri otto indicatori.
Divario nord-sud – A partire, spiega il focus dei tecnici del Senato, dall’indice di povertà assoluta. Che nel 2016 interessava il 7,9% della popolazione, con un picco del 9,8% al Sud. Per misurare la felicità degli italiani si prenderà in considerazione anche la speranza di vita in buona salute. Che, sempre nel 2016, si è assestata su un’età media di 58,8 anni: meglio al Nord (60,5) rispetto al Centro (58,3) e al Mezzogiorno (56,6). Altra variabile che sarà presa in considerazione è il rapporto tra tasso di occupazione delle donne di 25-49 anni con almeno un figlio in età prescolare e delle donne senza figli. Un indicatore che misura indirettamente, l’adeguatezza del welfare per consentire alle mamme di conciliare gli impegni della casa con quelli del lavoro. Tra le prossime new entry, anche il tasso di criminalità predatoria. Che fa riferimento al numero di vittime di furti in abitazione, borseggi e rapine. Nel 2015, l’indicatore ha fatto segnare 25,3 casi ogni mille abitanti. Ma a condizionare la felicità degli italiani è anche la durata media dei processi civili: 460 giorni in media, nel 2016, con una forbice compresa tra i 258 giorni al Nord e i 682 al Sud (414 al Centro). Per non parlare dell’abusivismo edilizio: 19,6 abitazioni ogni 100 abitanti nel 2016, con il Sud sempre più maglia nera (48,2) rispetto al Centro (19,2) e al virtuoso Nord (6,4). Oltre che un fattore di rischio per la salute, anche l’obesità può compromettere seriamente la felicità. Non a caso, tra i prossimi indicatori, è stata scelta anche la proporzione standardizzata di persone dai 18 anni in su in sovrappeso o obese rispetto al totale degli over 18. E, anche in questo caso, il Sud si conferma fanalino di coda con il 49,7% rispetto ad un dato medio nazionale del 44,8 (al Centro 42,6%, al Nord 42,2). Un problema che colpisce il 54,9% dei maschi contro il 35,2% delle femmine.