Un nuovo grande intrigo di potere per condizionare persino le sorti del management dell’Eni, oltre che appalti e sentenze per centinaia di milioni di euro. Le Procure di Roma e Messina hanno scoperchiato l’ennesimo sistema di potere occulto, con alti magistrati e professionisti accusati di agire spregiudicatamente grazie alla reciproca rete di protezione.
I NOMI
Quindici le persone arrestate dalla Guardia di Finanza su richiesta della Direzione distrettuale antimafia guidata da Maurizio de Lucia con capi d’accusa che vanno dall’associazione a delinquere dedita alla frode fiscale, a reati contro la pubblica amministrazione e corruzione in atti giudiziari. Diversi i nomi pesanti travolti da questo nuovo terremoto giudiziario. Tra gli arrestati (in carcere) il magistrato Giancarlo Longo, già sostituto procuratore della Repubblica a Siracusa poi destinato ad altre funzioni in altra sede; l’avvocato Piero Amara con il socio Giuseppe Calafiore (quest’ultimo ai domiciliari); gli imprenditori Fabrizio Centofanti, Ezio Bigotti (ai domiciliari), Alessandro Ferrara. Coinvolto anche un nome illustre dell’università, il professore della Sapienza di Roma Vincenzo Naso, il dirigente regionale Mauro Verace e il giornalista siracusano Giuseppe Guastella. Amara e Bigotti risultano indagati anche nell’inchiesta Consip. Respinta per assenza di ragioni cautelari una richiesta di misura non detentiva per il reato di corruzione in atti giudiziari, contestato in concorso con Amara e Calafiore, nei confronti di Virgilio Riccardo, già presidente di sezione del Consiglio di Stato, oggi in pensione.
Come risulta dalle corpose ordinanze di custodia cautelare (visibili cliccando sopra), nel preparare l’operazione le Procure di Roma e Messina si sono coordinate con i colleghi di Milano, dopo diversi input investigativi, tra cui una perquisizione delle Fiamme Gialle a Massimo Mantovani, ex responsabile dell’ufficio legale di Eni ed attuale dirigente della società, indagato per associazione per delinquere finalizzata ad una serie di reati.
IL CASO MANTOVANI
Tra le vicende più scottanti di questa inchiesta c’è infatti il procedimento giudiziario in corso per tangenti in Nigeria a carico del numero uno dell’Eni, Claudio Descalzi. Su questo caso, l’avvocato difensore dell’azienda del Cane a sei zampe, Amara, avrebbe messo in atto un tentativo di depistaggio sull’indagine milanese. Il legale avrebbe fatto presentare il suo amico Alessandro Ferrara alla Procura di Siracusa per sostenere di essere stato vittima nell’estate 2016 di un fantomatico tentativo di sequestro da parte di due nigeriani e un italiano. Personaggi che secondo Ferrara erano interessati ad avere notizie su un complotto internazionale per far fuori proprio Descalzi, ordito dai servizi segreti nigeriani in combutta con ambienti finanziari italiani e con alcuni consiglieri del cda Eni. In questo modo si era tentato di allargare e possibilmente spostare a Siracusa l’inchiesta seguita dai magistrati milanesi, facendo condividere atti comunque riservati, con i quali aggiustare il processo.
Una mazzata, insomma, anche per Descalzi di cui non c’è traccia che fosse a conoscenza dell’anomala strategia difensiva del suo avvocato, anche se un comportamento tanto spregiudicato lascia interdetti per la scelta fatta dall’azienda petrolifera dei professionisti di fiducia, anche se stando all’inchiesta del pm Laura Pedio, sarebbe proprio il dirigente Eni Mantovani il vero organizzatore delle presunte manovre di depistaggio per condizionare le inchieste milanesi Eni-Nigeria ed Eni-Algeria.