Debora Serracchiani da una parte, Luciano D’Alfonso dall’altra. Entrambi Governatori. Entrambi candidati alle politiche. Con una piccola ma determinante differenza: se la presidente uscente in Friuli correrà nel collegio uninominale di Trieste esattamente come i ministri nella speranza di giocarsi la carta “popolarità” per consentire al partito di recuperare voti, D’Alfonso sarebbe stato catapultato nel listino bloccato per il Senato. Ed è proprio per questa disparità di trattamento che nel Pd sono scoppiate polemiche sul nome del Governatore anche per quanto potrebbe accadere in Regione. Già, perché se la Serracchiani ha detto chiaramente che non si ricandiderà, D’Alfonso non ha mai chiarito se e quando si dimetterà da presidente. Da buon temporeggiatore. Per ora il mantra che va ripetendo è sempre lo stesso: “È stato il partito a chiedermi di mettermi a disposizione”. Questa la ragione, a detta dei suoi, per cui è stato inserito nel proporzionale e non nel maggioritario: volere del partito. Tesi, però, sulla quale in tanti, all’interno e all’esterno del Pd, avanzano seri dubbi. Sarebbe stato proprio D’Alfonso, giurano in più d’uno, a fare pressing per una candidatura blindata al Senato. La ragione? Le tante inchieste che lo vedono coinvolto: i finanziamenti arrivati al Parco del Lavino vicino al suo paese di origine; la cosiddetta “Maremonti”, la strada mai realizzata a Penne (in questo caso ha rinunciato alla prescrizione); per atti propedeutici alla turbativa d’asta in merito alle case popolari di Pescara. Ed è un fatto che, se eletto al Senato, D’Alfonso godrà dell’immunità parlamentare. “Tutto ruota intorno a questo vantaggio personale – sussurrano gli avversari del governatore in seno al Pd -. Il partito, a cominciare dal segretario regionale (Marco Rapino, ndr), non ha fatto altro che avallare il suo volere”. Non a caso D’Alfonso starebbe premendo per garantire posti certi ai suoi fedelissimi, a cominciare da Stefania Pezzopane che sarebbe ben lieta di correre alla Camera nel listino bloccato.
Stallo regionale – Ma mentre veleni e critiche serpeggiano, in tanti si chiedono cosa accadrà in Regione. “Se dovesse essere eletto – dicono gli uomini vicini a D’Alfonso – il Governatore deciderà il da farsi. Se gli si dovesse garantire un posto nel Governo, potrebbe lasciare la presidenza”. Da statuto a quel punto le redini dell’Abruzzo passerebbero al vicepresidente, Giovanni Lolli, fino a nuove elezioni, che dovranno essere indette entro tre mesi dalle dimissioni del Governatore. “E così D’Alfonso manterrebbe in qualche modo il controllo sulla Regione”, temono in tanti. Non solo. Tra l’esercizio dell’opzione Senato-Regione, le dimissioni e l’indizione di nuove elezioni, il Pd cercherà di allungare i tempi, così da arrivare alla scadenza naturale, nella primavera 2019. “Ma a quel punto – c’è chi avverte tra i dem – potremmo essere sommersi dalle macerie di D’Alfonso”. Con un’aggravante: “alla fine della fiera non si capisce nemmeno cosa ci abbia guadagnato il Pd”.