La fine della legislatura porta molte fra proposte e disegni di legge su un binario morto. Lo Ius soli non è che uno di questi. La legge è stata approvata dalla Camera nell’ottobre del 2015 prima di restare impantanata al Senato, sotto il fuoco di fila del Centrodestra (compresi i centristi di Angelino Alfano). Nella conferenza stampa di fine anno il presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, è stato costretto ad ammettere: “Non siamo riusciti ad avere i numeri”. E parlando di diritti ha affermato: “È stato un capitolo storico, purtroppo incompiuto”. Uno, ma non l’unico, appunto. Perché in questo discorso rientra a pieno titolo la legge contro l’omofobia, altro provvedimento che ha avuto un iter lungo e accidentato.
Presentata all’inizio della legislatura, la pdl – primo firmatario il sottosegretario Ivan Scalfarotto (Pd) – anche in questo caso si è arenato al Senato. Il testo è stato approvato dalla Camera il 19 settembre 2013, trasmesso quattro giorni dopo al Senato e da quel momento insabbiato in commissione da una enorme mole di emendamenti. Idem per legge che, si pensava, permettesse una volta per tutte l’attribuzione al figlio anche del cognome della madre. Invece niente. La proposta in materia, prima firmataria la deputata dem Laura Garavini, è finita spiaggiata anche lei a Palazzo Madama dopo il via libera della Camera arrivato a settembre 2014. “La verità – ha detto Garavini a La Notizia il 5 dicembre – è che è mancata la volontà politica, colpa del conservatorismo e di un certo maschilismo di tanti colleghi senatori che hanno visto in questa legge un attentato alla patria potestà”. Al contrario “approvare questa legge avrebbe permesso all’Italia di essere al passo con gli altri Paesi europei, ma purtroppo così non è stato”. E “nemmeno il ringiovanimento del Parlamento ha aiutato. Un vero peccato”.
Il capitolo privilegi ci porta indubbiamente al disegno di legge Richetti sul taglio dei vitalizi. Presentato in commissione alla Camera il 9 luglio del 2015, il ddl di cui è primo firmatario il portavoce della segreteria renziana, Matteo Richetti appunto, ha subito diversi stop and go. L’iter a Montecitorio è iniziato nel settembre del 2015 per concludersi a maggio del 2017: votarono a favore Pd, Cinque Stelle, Lega, Fratelli d’Italia e Scelta civica. Ma poi, per resistenze proprio dentro lo stesso Pd (in primis quella dell’ex tesoriere dei Ds, Ugo Sposetti), è naufragato. Il testo prevede, o a questo punto sarebbe meglio dire prevedeva, l’estensione, nei confronti di ex parlamentari e consiglieri regionali che hanno maturato il vitalizio col ben più vantaggioso sistema retributivo del contributivo vigente per i dipendenti pubblici. Nemmeno mai partito, invece, l’iter della proposta di legge per l’abolizione della legge Mosca presentata dal deputato ex M5S Walter Rizzetto (FdI).
Altro provvedimento che ha avuto un iter lungo in Parlamento, finendo su un binario morto, è la riforma dei partiti. Dopo varie vicissitudini, l’opposizione di Forza Italia e l’accusa di voler “punire” i Cinque Stelle, Movimento che rivendica di non essere un partito, il Pd ha portato a compimento una riforma che non impedisce ai pentastellati di potersi presentare alle elezioni qualora non depositino uno Statuto ma che comunque introduce una serie di vincoli sulla trasparenza. Approvata dalla Camera poco meno di due anni fa (giugno 2016), la legge è sparita dai radar.
Dopo vari stop and go ed essere stata messa nel congelatore per mesi, la legge sulla legalizzazione della cannabis ha incassato lo scorso 19 ottobre il primo via libera della Camera ma ha subito lo stralcio delle norme relative alla legalizzazione dell’uso personale, mentre viene consentito esclusivamente l’uso terapeutico. Il primo testo era stato depositato nel 2013, poi ne sono stati aggiunti altri nel 2015. Contro il provvedimento sin dall’inizio si è schierato il Centrodestra, Lega in testa mentre favore hanno votato Pd, Cinque Stelle, Mdp, Scelta civica-Ala, Sinistra Italiana-Possibile e Psi. Alternativa popolare si è astenuta. Anche in questo caso, però, nulla di fatto.
Sulla legittima difesa invece l’iniziativa è stata del Centrodestra, in particolare della Lega la cui proposta di legge mirava a riconoscere sempre la legittima difesa in caso di rapina nella propria abitazione o luogo di lavoro. Una lunga discussione e trattativa ha caratterizzato l’iter del testo in parlamento. Un blitz del Pd in commissione alla Camera ha poi modificato il testo, trasformando la proposta da iniziativa in quota alle opposizioni a iniziativa, di fatto, della maggioranza, che ne ha ammorbidito i contenuti. Giunta in Aula, lo scontro è stato durissimo, con le proteste di Lega e FdI che, alla fine, hanno votato contro. Il testo è stato approvato lo scorso 4 maggio con i voti favorevoli di Pd, Ap, Civici e innovatori e i voti contrari – oltre ai partiti di Salvini e Meloni – di Cinque Stelle, Forza Italia, Sinistra Italiana e Mdp. Da allora si è atteso invano l’ok del Senato.
Nell’elenco, in ordine sparso, ci sono però molti altri provvedimenti. Dalla legge Fiano contro la propaganda del regime fascista e nazista (un solo articolo, già approvata alla Camera) a quella sul “nuovo” conflitto d’interessi, promessa a più riprese dai principali esponenti di Governo – da Matteo Renzi a Maria Elena Boschi fino al Guardasigilli Andrea Orlando – ma rimasta lettera morta dopo l’ok di Montecitorio datato 25 febbraio 2016. Senza dimenticare la legge che pone dei limiti alla candidabilità di giudici e pm e fissa dei paletti per il loro ritorno in organico firmata dall’ex ministro Francesco Nitto Palma (FI). Nemmeno mai partito invece l’iter per l’approvazione di una legge che regolamenti l’attività di lobbying.