di Stefano Sansonetti
Come sempre, adesso, il rischio è che tutto si trasformi in una vittoria di Pirro. E che tutto lasci l’amara impressione della solita onda populista cavalcata da Parlamento e Governo guarda caso a ridosso delle elezioni. Parliamoci chiaro: i big delle telecomunicazioni sono già pronti a scaricare sui consumatori l’addio all’ormai famigerata fatturazione a 28 giorni. Questa “pratica commerciale scorretta”, almeno come l’ha definita un mese fa il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, dovrà andare definitivamente in soffitta. Questo è infatti l’esito dell’approvazione definitiva del decreto legge fiscale, che vieta le bollette a 28 giorni per i servizi di telecomunicazione e di pay tv. Tradotto, significa che ora le varie Tim, Vodafone, Wind, Fastweb e Sky dovranno adeguarsi alle nuove disposizioni. Non subito, ma entro 120 giorni.
Le norme – Se non lo faranno, stabilisce il decreto, potranno incorrere in sanzioni che vanno dai 240mila ai 5milioni di euro, con la previsione di un rimborso forfettario di 50 euro a cliente più un euro per ciascun giorno di ritardo. Dalle nuove disposizioni, però, rimangono escluse le compagnie energetiche (luce e gas), perché in questo caso vale il principio secondo il quale i costi sono legati ai relativi consumi. Insomma, i big di telefoni, internet e pay tv dovranno tornare alla fatturazione mensile o, come si dice in gergo, per “multipli di mese” (per esempio con la bolletta trimestrale). Ma il consumatore, da questa specifica vicenda sbandierata da Governo e Pd come vittoria epocale, cosa guadagnerà effettivamente? Poco o niente. E la dimostrazione, tanto per dirne una, è già arrivata da Tim. Sul suo sito, nel pubblicizzare l’offerta “Adsl illimitata-internet senza limiti”, spiega che il costo ogni 4 settimane è di 22,9 euro, mentre accanto viene specificato: “a titolo informativo se la tariffa fosse applicata ogni 30 giorni il prezzo sarebbe 24,54”. Tutto chiaro? Visto che la tariffa adesso sarà per forza a 30 giorni, Tim e colleghi riparametreranno il costo mensile per evitare di perdere soldi. La stessa Agcom aveva calcolato come nel solo settore della telefonia le bollette a 28 giorni avessero assicurato 1 miliardo di euro l’anno.
La posizione – La lobby delle tlc, dal canto suo, ha sempre professato una sorta di “innocenza”. Asstel, l’associazione confindustriale che rappresenta le principali società, lo scorso ottobre aveva ribadito che “gli operatori telefonici che propongono un periodo di fatturazione a 28 giorni hanno adottato comportamenti legittimi in quanto la tariffazione è a tutti gli effetti una componente dell’offerta commerciale”. In un mercato ormai libero, hanno sempre detto, un gruppo può proporre quello che gli pare, salva la libertà del consumatore di passare ad altri interlocutori. Del resto nel corso degli anni la velocissima evoluzione del settore, e la spietata concorrenza, hanno già prodotto una diminuzione dei costi a beneficio degli utenti. Ed è su questo, si conclude il ragionamento, che bisognerebbe fare una valutazione finale. Certo, con la fine della tariffazione a 28 giorni potrebbe esserci quale operatore che utilizza la novità a fini commerciali. Un big, per esempio, potrebbe veicolare qualche messaggio ai consumatori di questo tipo: trasferitevi da noi perché non aumenteremo il costo della nuova bolletta a 30 giorni. Ma l’esempio di Tim fa capire che in realtà nel settore si sta già valutando un aumento del prezzo. Va del resto considerato che la stessa concorrenza ha già portato a perdere miliardi di ricavi. Nessuno vuole dire con questo che i colossi delle tlc siano stati ridotti sul lastrico, tutt’altro. Ma forse adesso non sono più disposti a lasciare sul terreno neanche un euro.