C’è stato un tempo, negli anni nei quali sul carro del renzismo non c’erano più nemmeno i posti in piedi, in cui salire su quel palco o anche solo fare una comparsata in platea era considerato un autentico privilegio. Oggi invece, raccontano le cronache, la Leopolda, giunta alla sua ottava edizione (L8-In/Contro), non “scalda” più come prima. Sarà perché dal 4 dicembre in poi, battuto malamente al referendum costituzionale, Matteo Renzi sembra aver perso quel “tocco magico” che ne aveva caratterizzato la folgorante ascesa, portandolo d’un colpo (e che colpo) da Palazzo Vecchio a Palazzo Chigi. Sarà perché, lo diciamo un po’ scherzando un po’ no, a qualcuno la patinata kermesse dell’ex premier, tutta tavoli tematici e scarpe tacco 12 leopardate, ha portato più sfiga che altro. Alcuni dei super ospiti delle scorse edizioni oggi, infatti, non se la passano proprio benissimo. Il primo esempio, quello più recente, riguarda Fausto Brizzi, che alla Leopolda partecipò nel 2012 per sostenere come molti altri la candidatura di “Matteo” alla segreteria del Pd contro Pier Luigi Bersani. Il regista romano, famoso per alcune pellicole diventate un cult – da Notte prima degli esami a Ex – è stato accusato da alcune attrici di molestie sessuali, tanto da essere immediatamente paragonato al famigerato Harvey Weinstein. Lui com’è normale si è difeso negando tutto, ma intanto la Warner Bros. ha tolto il suo nome dal trailer della sua ultima fatica cinematografica, Poveri ma ricchissimi, in uscita il 14 dicembre.
Porte girevoli – Ma Brizzi non è da solo. Vi ricordate di Antonio Campo Dall’Orto? Un destino da enfant prodige, l’ex manager di Mediaset e La7 bazzicò parecchie volte alla Leopolda prima di diventare, ad agosto 2015, direttore generale della Rai dopo essere stato nominato sempre dal Governo Renzi membro del Consiglio di Amministrazione di Poste Italiane. Doveva rivoltare il servizio pubblico come un pedalino, invece nemmeno due anni dopo il Cda, complice qualche mal di pancia di troppo proprio del leader dem, l’ha messo in minoranza e tanti cari saluti. Destino non proprio simile, ma quasi, a quello dell’ex direttrice dell’Agenzia delle entrate, Rosella Orlandi. Nel 2014 “lady tasse”, come la ribattezzò qualcuno, andò alla kermesse dicendo di sognare “un fisco semplice” per “un paese normale”. Ad avercene. Com’è andata a finire? A giugno di quest’anno è stata silurata nonostante il record storico nel recupero di capitali nascosti e al suo posto è finito un altro renziano di ferro, pure lui assiduo frequentatore della Leopolda, come Ernesto Maria Ruffini.
Addio Matteo – Poi c’è il fronte prettamente politico. Di certo, la Leopolda non ha portato fortuna a Giusi Nicolini, sindaca di Lampedusa paladina dei migranti, premio Unesco per la pace, salita proprio l’anno scorso sul palco della kermesse prima di perdere le elezioni a giugno contro un altro dem, Totò Martello (tutt’altro che renziano). Fuoco amico, insomma. Diverso invece il discorso di Giuseppe Civati, Ignazio Marino e Piero Martino. Il primo, braccio destro di “Matteo” durante la prima edizione (2010), ha lasciato il Pd a maggio 2015 fondando Possibile in polemica proprio col segretario. Dell’ex sindaco di Roma, che pure non è mai stato un renziano “puro”, la vicenda è arcinota, comprese le “26 coltellate e un solo mandante” che lo defenestrarono davanti a un notaio il 30 ottobre 2015. Mentre Martino, ex portavoce di Dario Franceschini, ha lasciato il Pd a luglio per passare a Mdp. Non senza strascichi polemici. “Tanti auguri di buon lavoro, ma prima paghi gli arretrati” (78.750 euro), gli tuonò contro il tesoriere Francesco Bonifazi. Impossibile infine dimenticarsi di Sergio Staino. Il vignettista, ex direttore de l’Unità, l’anno scorso proprio alla kermesse si rappacificò con Fabrizio Rondolino. Poi il giornale chiuse e furono dolori. “Renzi? È ignorante dal punto di vista storico, è impulsivo, rancoroso, senza nessuna esperienza profonda, non conosce la politica, scappa quando dovrebbe esserci, ed è soprattutto bugiardo: dice consapevolmente delle menzogne”, si scagliò l’ideatore di Bobo. Chiamatelo, se volete, effetto-Leopolda.
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