Possiamo prendercela con la malasanità o la sfortuna, ma la morte di una ragazzina lasciata per ore in un ospedale romano senza la giusta assistenza ha poco a che fare con l’una e con l’altra. Certo, i medici possono sbagliare come sbaglia chiunque, ma se si lavora in condizioni di perenne emergenza l’errore da possibile diventa matematicamente sicuro. Un epilogo che terrorizza ogni familiare di un paziente adagiato in corsia, alimentando una pressione che nelle strutture pubbliche è considerata ormai fisiologica. La politica e i manager della sanità hanno fatto il loro lavoro tagliando costi e posti letto. In molte regioni si sono chiusi reparti e interi ospedali, riducendo i servizi sotto una soglia dignitosa. C’era alternativa? Non molta perché in passato si è rubato l’impensabile e le risorse messe a disposizione sono quelle che sono. Facendo così però si è accettato che certe morti non accadano per pura casualità. E visto l’andazzo c’è da immaginare un futuro persino peggiore. Una prospettiva davanti alla quale possiamo indignarci o continuare a far finta di niente, lasciando il problema a chi combatte con gli ospedali. Se la spesa pubblica ha delle priorità è il momento di pretendere che la sanità torni in testa, chiedendo alla politica l’impegno ad imporre i sacrifici da un’altra parte. E indignarci se questo non avviene, anche scendendo in piazza, ma non come adesso fa comodo alla Cgil per protestare contro il Governo, ma per difendere quel diritto alla salute che persino i sindacati non hanno più in cima alle loro priorità.
L'Editoriale
Per la salute nessuno fa sciopero
Nessuno manifesta per difendere quel diritto alla salute che persino i sindacati non hanno più in cima alle loro priorità