Nemmeno la Chiesa porge l’altra guancia a Totò Riina, boss che i vescovi ritengono indegno del funerale pubblico e di una pietà che la mafia non ha mai avuto per nessuno. Quest’uomo che non ha mai rinnegato il suo passato, che è morto da padrino, che si porta all’altro mondo i segreti più inconfessabili del Paese, anche nella bara resta il simbolo dell’Italia peggiore. E siccome insieme a lui non sarà seppellita anche la rete dei mafiosi e di tutti i loro complici, qualunque cedimento sarebbe solo un regalo alla Cosa nostra che rimane. E che da ieri ha un nuovo capo della cupola (Matteo Messina Denaro?). Un trono che passa di mano con tutte le incertezze di ogni passaggio di potere. Riina conquistò il suo ruolo prima togliendo di mezzo a colpi di kalasnikov i capoclan egemoni a Palermo, poi marcando il suo territorio in una guerra aperta allo Stato, strafottendosene di ogni regola del passato, lui uomo d’onore che fece uccidere donne e bambini, infrangendo per primo quei codici poi sgretolati dai pentiti, dagli arresti, dalla perdita di quel ruolo geopolitico della Sicilia nei grandi traffici internazionali degli stupefacenti. Con Riina, il boss arrivato dalle campagne, la mafia è diventata più raffinata che mai, cambiando pelle per gettarsi nei settori degli appalti, della finanza internazionale e dei colletti bianchi. Una trasformazione che sicuramente continuerà, guidata da criminali che all’ombra del capo dei capi ne hanno assorbito tutta la crudeltà. Nuovi Riina che l’unico funerale a cui pensano è quello dello Stato.
L'Editoriale
Dopo Riina sarà tutta un’altra mafia
Dopo Riina sarà tutta un'altra mafia