di Stefano Sansonetti
Ancora una volta il suo scudo si è rivelato fondamentale. L’ultimo ad avvantaggiarsene è sicuramente stato Ignazio Visco, fresco di conferma a capo della Banca d’Italia. Ma l’egida prestata dal presidente della Bce, Mario Draghi, nel recente passato ha protetto da attacchi esterni altri fedelissimi. Un caso su tutti riguarda Vincenzo La Via, direttore generale del Tesoro, ovvero la struttura di via XX Settembre da cui dipendono le scelte strategiche di gestione del debito pubblico (e non solo). Il super boiardo ricopre questo ruolo dal marzo del 2012, quando venne coinvolto dall’Esecutivo guidato da Mario Monti. Da quel momento è sempre riuscito a farsi confermare dai successivi Governi, superando accuse e attacchi a volte arrivati anche da centri di potere di non poco conto. Alcuni, per esempio, hanno imputato in questi anni a La Via un certo immobilismo nelle grandi partite europee relative alle banche italiane.
Il dettaglio – La Notizia, per esempio, aveva raccontato come un durissimo attacco al direttore generale del Tesoro fosse stato veicolato nel 2016 dal Corriere della Sera. Trattando del ruolo europeo di Elke König, economista tedesca che guida il Consiglio unico di risoluzione, in pratica l’ente che garantisce la “risoluzione” ordinata delle banche in difficoltà, il quotidiano di via Solferino scriveva che se sulle banche italiane continua a permanere incertezza “è anche perché l’inefficacia del Governo, vista da Bruxelles, è lampante”. Subito dopo la staffilata: “Sul piano tecnico l’impegno del ministro dell’economia Pier Carlo Padoan è stato costante, quello del suo direttore generale Vincenzo La Via no. Nessuno in Commissione, o nel gelido palazzo di Elke König, sembra mai averci parlato dei vitali dettagli bancari che potrebbero decidere il futuro del Paese”. Un’accusa durissima, come si vede, che però non riuscì a scalfire minimamente il direttore generale del Tesoro. Il quale, dopo aver resistito al ministero dell’economia con Vittorio Grilli e Fabrizio Saccomanni, è riuscito a proseguire il suo percorso anche con Pier Carlo Padoan, nonostante la contrarietà (corsi e ricorsi della storia) di mezzo “giglio magico”. Anche in quell’occasione si è detto che l’intervento fondamentale andava ascritto a Draghi. Nel periodo in cui quest’ultimo è stato direttore generale del Tesoro, dal 1991 al 2001, La Via ha guidato proprio la direzione del debito pubblico (dal 1997 al 2000). Erano gli anni complicati e discussi delle privatizzazioni italiane e dei contratti derivati con le banche estere. Un periodo in cui i rapporti tra Draghi e La Via si sono consolidati, garantendo al secondo uno scudo che sarebbe tornato utile addirittura dopo 20 anni.
Gli altri – Ma dalle parti del dicastero di via XX Settembre c’è anche un altro Draghi boy che ha saputo resistere a tutte le intemperie economiche e istituzionali. Si tratta di Daniele Franco, diventato Ragioniere generale dello Stato nel maggio 2013, con Saccomanni al ministero, e da allora sempre confermato. Franco è un pupillo di super Mario dai tempi di Bankitalia. Poco prima di traslocare alla Bce, l’allora numero uno di via Nazionale lo promosse a capo della ricerca economica dell’istituto centrale, di fatto “trasformandolo” in uno dei massimi esperti di finanza pubblica di tutta la Banca d’Italia. Anche qui, allora, quando si è trattato di superare le insidie della conferma, palesatesi nel 2016, la barriera protettiva di Draghi si è immediatamente eretta. A dimostrazione di come essere nella cerchia dell’attuale presidente della Bce sia una delle più importanti voci del curriculum. Forse la più importante.