Dopo ben 8 voti di fiducia, tra Camera e Senato, il Rosatellum bis incassa il via libera definitivo dell’aula di Palazzo Madama e diventa legge dello Stato. I sì sono stati 214 a fronte di 61 no.
Durante le dichiarazioni di voto, il leader di Ala Denis Verdini ha pronunciato un lungo discorso, in cui ha riepilogato il senso del sostegno del suo partito alla maggioranza nel corso della legislatura: “Qualcuno parla di una nuova maggioranza. Non è vero. Noi c’eravamo, ci siamo e ci resteremo sino alla fine”.
Già la giornata di ieri è stata segnata dal ruvido intervento di Giorgio Napolitano, che nel pomeriggio, a sorpresa, non ha partecipato al voto, salvo poi chiarire che si sarebbe espresso solo su quello in programma oggi. Il presidente emerito della Repubblica ha preso la parola – da seduto – domandando se “si può far valere l’indubbia esigenza di una capacità di decisione rapida da parte del Parlamento fino a comprimerne drasticamente ruolo e diritti sia dell’istituzione sia dei singoli deputati e senatori”. Una bacchettata nemmeno troppo velata a Matteo Renzi, ma non al premier Paolo Gentiloni che, “sottoposto a forti pressioni, ha dovuto aderire, e me ne rammarico, a quella convergente richiesta, proveniente peraltro da quanti avrebbero potuto chiedere il ricorso alla fiducia non già su tutte le parti sostanziali della legge, ma sui punti considerati determinanti, cosa che non ebbero la lucidità o il coraggio di fare”. Quanto ai numeri, la prima fiducia è passata con 150 sì (idem la quarta), la seconda con 151, la terza con 148 e l’ultima con 145.
Dentro e fuori – A guardare la geografia del voto, ci si accorge subito che se Pd, Ap, Per le Autonomie etc. sono state autosufficienti nella maggior parte delle votazioni, l’“aiutino” dei verdiniani di Ala per garantire il numero legale è stato determinante al momento del voto sull’articolo 3, quando 4 senatori del Pd sono usciti dall’Aula per motivi personali, e 5. Per lanciare un chiaro messaggio politico, Denis Verdini e i suoi hanno da subito rivendicato come determinante il loro intervento, tanto che l’ex plenipotenziario di Berlusconi ha sempre votato a favore delle fiducie fin dalla prima chiama, senza attendere il responso dei numeri. Al contrario, pur rimanendo in Aula per garantire il numero legale, 7 dem (Chiti, Tocci, Manconi, Mucchetti, Micheloni, Ruta e Turano) non hanno votato, come avevano già annunciato martedì. Non sono mancate invece le proteste delle opposizioni, Sinistra Italiana, Mdp e M5S. “Piegandosi al diktat di Renzi – ha attaccato il bersaniano Alfredo D’Attorre –, Gentiloni ha prodotto il capolavoro di privare il suo Governo di una maggioranza autosufficiente e di rendere Verdini il dominus della fase conclusiva della legislatura”.
Tutti contro uno – I pentastellati si sono invece ritrovati al Pantheon, presente stavolta anche Beppe Grillo. “Siamo qui a lottare per tutti gli italiani – ha esordito sul palco –. Il Paese ha il sistema immunitario in crisi, non è più in grado di difendere la democrazia”. “Ecco il premier”, ha poi continuato Grillo rivolto a Luigi Di Maio, prima di fare una foto bendato col vicepresidente della Camera, Alessandro Di Battista e la folla alle sue spalle. A più riprese, la piazza ha fischiato tutti i rappresentanti delle istituzioni, Sergio Mattarella in primis, al quale è stato chiesto di non firmare la legge. “Mi auguro ci pensi molto molto bene prima di farlo – ha detto Di Battista – perché sarebbe il primo presidente ad aver firmato due volte leggi elettorali illegali, incostituzionali e truffaldine”.
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