Angelino c’ha provato, ma senza successo. L’ultima “alfanata” è arrivata sulla legge elettorale, il Rosatellum bis in discussione alla Camera. Andando al sodo: giovedì Alternativa popolare, il partito del ministro degli Esteri, ha chiesto di modificare la soglia di sbarramento al Senato, fissata al 3% su base nazionale. Una soglia considerata troppo alta da Ap. Cosa volevano quindi l’ex delfino senza quid di Silvio Berlusconi e i suoi? Che la stessa venisse calcolata su base regionale: entra chi almeno in tre Regioni arriva al 3%. In quel caso i centristi, che in Sicilia, Lazio e Lombardia (Alfano-Lorenzin-Lupi) riscuotono discreto successo, si sarebbero visti spalancare le porte di Palazzo Madama. Al contrario, complici percentuali nei sondaggi non proprio esaltanti (2% circa), avrebbero rischiato di restare fuori. La “domanda” è stata però respinta nella mattinata di venerdì, come dichiarato dal capogruppo del Pd a Montecitorio, Ettore Rosato, che aveva subito provato a smorzare le polemiche dicendo che non c’è “nessuna trattativa col coltello in mano”, invitando a definirla non solo norma salva-Ap ma anche salva-Mdp, perché i bersaniani starebbero più o meno nelle stesse condizioni.
“Sarebbe una schifezza”, aveva però tagliato corto Alfredo D’Attorre (Mdp), “non la vogliamo perché favorirebbe la frammentazione e il mercato delle vacche”. E anche Forza Italia si era mostrata tiepida. “C’è un testo base e il testo base dice che il 3% è su base nazionale – ha spiegato il presidente dei deputati di FI alla Camera Renato Brunetta –. Nella discussione per noi si parte da quello. Bisognerà trovare un compromesso ma certamente non salterà l’accordo”.
Tutto regolare – Ecco, appunto: ieri il patto a 4 tra Pd, FI, Ap e Lega ha retto. Sugli altri punti infatti la saldatura è stata totale. Respinti tutti gli emendamenti sul voto disgiunto tanto caro a Movimento 5 Stelle e area di sinistra, così come quelli sulle preferenze e sul premio di maggioranza. Per non parlare poi di quella che è stata ribattezzata norma “anti-Berlusconi”, proposta dai grillini, che stabiliva che – pena l’inammissibilità della lista – non potesse essere indicato come capo della forza politica chi risulta essere incandidabile o ineleggibile, proprio come l’ex premier. Anche FI però ha dovuto cedere su un punto: è stato infatti bocciato un emendamento che chiedeva di introdurre il principio che è capo della coalizione il leader del partito più grande. In cambio, i dem hanno concesso la riduzione (da 70 a 65) del numero dei collegi plurinominali.
Alta infedeltà – Certo, qualche momento di tensione non è mancato. Soprattutto a destra. “Vergognoso l’atteggiamento degli pseudo-alleati di FI, almeno mi pare che la Lega si sia astenuta…”, ha attaccato l’ex ministro Ignazio La Russa (FdI) dopo la bocciatura dell’emendamento col quale il partito della Meloni chiedeva l’introduzione della preferenza facoltativa. “Essere alleati non significa necessariamente convergere sulle stesse posizioni sempre e comunque”, gli ha ribattuto Francesco Paolo Sisto (FI). Se questo è l’antipasto, figuriamoci il seguito.