Si rischia l’ennesimo giro a vuoto. Alimentando il paradosso per il quale chi lavora a stretto contatto coi deputati e senatori lo fa senza regole precise. Senza una legge, cioè, che regolamenti per filo e per segno il rapporto di lavoro. Spesso addirittura in nero. Stiamo parlando dei collaboratori parlamentari, meglio conosciuti come “portaborse”. Da anni l’associazione che li riunisce, l’Aicp oggi presieduta da Valentina Tonti, ha intrapreso una battaglia per vedere riconosciuti i propri diritti. Ma niente, la polvere – come si dice – è sempre rimasta nascosta sotto il tappeto nonostante i più considerino l’intervento legislativo fondamentale. Per la verità, una proposta di legge che viaggia in questa direzione c’è. L’ha presentata la deputata Marialuisa Gnecchi (Pd) il 30 maggio 2013.
E prevede, fra le altre cose, che eventuali controversie fra collaboratore e datore di lavoro siano devolute al giudice ordinario (non alla giurisdizione “domestica”) e che siano gli Uffici di presidenza a definire le modalità del pagamento diretto della loro retribuzione e dell’assolvimento dei relativi oneri fiscali e previdenziali da parte dell’Amministrazione. A che punto siamo? “Ci sono stati due stop”, ammette Gnecchi contattata da La Notizia: “Il primo quando sono stati riformati i contratti di collaborazione e il secondo quando si pensava che andasse in porto la creazione di un albo dei collaboratori, scenario che però non si è manifestato”. Non solo: è anche cambiato il relatore (Marco Miccoli sempre del Pd). In sostanza, la proposta è ferma ai box. “Incontreremo nuovamente le associazioni e vedremo il da farsi. Se ce la faremo ad approvarla prima della fine della legislatura? Credo che volendo si potrebbe”, risponde la parlamentare dem.
“Sul tema”, ricorda però il vicepresidente dell’Aicp, Josè De Falco, “la via maestra sono gli Uffici di presidenza delle Camere. Sarebbero sufficienti due delibere per risolvere la questione. Se invece si volesse intervenire per legge, proprio il fine legislatura sarebbe una preziosa occasione per consentire al nuovo Parlamento di lavorare meglio”. E a chi sostiene che l’inserimento dei costi dei collaboratori nel bilancio di Montecitorio e Palazzo Madama farebbe lievitare le spese, De Falco dice: “Non è assolutamente vero. Da tempo come Associazione chiediamo un tavolo di confronto in cui individuare soluzioni economiche adeguate. Semplicemente riorganizzando alcune voci di spesa che gravitano nel Palazzo – conclude – per i parlamentari l’aggravio sarebbe minimo se non nullo”.
Twitter: @GiorgioVelardi