“Se ci saranno condizioni, come credo che ci siano, ci sarà la dichiarazione dello stato di emergenza”. Non ha usato mezzi termini il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti dopo la sua visita di ieri a Livorno. D’altronde che il nubifragio abbia devastato la città toscana è sotto gli occhi di tutti. La domanda che tristemente ancora una volta ci si deve porre, però, è la seguente: basta dichiarare lo stato d’emergenza per riparare danni ingenti, frutto spesso di una cementificazione selvaggia e di un usus ormai comune, obbediente agli interessi economici piuttosto che alle leggi ambientali? A leggere i dati no, non basta affatto.
Secondo quanto riportato direttamente dalla presidenza del Consiglio tramite la banca dati #italiasicura, da maggio 2013 ad oggi sono stati aperti 56 stati d’emergenza (solo 5 vigenti ad oggi). Ebbene, in totale l’importo richiesto dalle Regioni per gli interventi necessari dopo alluvioni e nubifragi è pari a 10,4 miliardi di euro. Peccato però che l’importo stanziato per i 56 stati d’emergenza da Palazzo Chigi in totale sia pari a 738 milioni. Non solo: di questi ad oggi sono stati concretamente stanziati 618 milioni. Nemmeno il 6% di quanto richiesto inizialmente.
Converrà entrare nello specifico per capire di cosa stiamo parlando. Andiamo allora proprio in Toscana. Dopo gli eccezionali eventi atmosferici che colpirono il territorio delle province di Firenze, Lucca, Pisa, Pistoia e Prato il 19 e 20 settembre 2014, venne dichiarato lo stato d’emergenza. I danni accertati dal commissario erano pari a 54 milioni di euro, ma da Palazzo Chigi ne arrivarono solo 3,2. Il 5 marzo 2015 un’altra bomba d’acqua colpì le stesse province toscane. Ancora una volta venne dichiarato lo stato d’emergenza: il Consiglio dei ministri stanziò circa 12 milioni, nonostante i danni accertati dal commissario fossero pari a 169 milioni. Il 7% del necessario. Non che altrove sia andata meglio. Siamo nei primi mesi del 2014 e su Roma e provincia si abbatterono piogge torrenziali, come mai prima di allora. Inevitabile, anche in quel caso, dichiarare lo stato d’emergenza, per il quale Palazzo Chigi assegnò 22,5 milioni alla struttura commissariale, la stessa che però aveva segnalato danni per 437 milioni. Un pelino in più di quanto effettivamente corrisposto.
Progetti fermi – Non c’è, però, solo un discorso di fondi insufficienti per far concretamente fronte ai danni causati da piogge e nubifragi. Spesso, infatti, progetti finanziati per le prevenzione nemmeno arrivano a termine o, perlomeno, non lo fanno entro i tempi stabiliti. L’esempio è di quelli eclatanti, vista l’attualità. Uno dei quartieri più colpiti dalle piogge di questi giorni a Roma è l’Infernetto. Scartabellando nella banca dati #italiasicura, ecco spuntare un progetto da più di 8 milioni relativo alla “messa in sicurezza idraulica” di un “influente” del canale Palocco in località Infernetto, appunto. L’intervento è stato finanziato nel febbraio 2016, ma siamo ancora fermi – stando alla banca dati – al progetto. Ergo: il cantiere ancora non è stato nemmeno aperto, nonostante sia passato un anno e mezzo.
S-fondi Ue – Senza dimenticare, infine, tutta la partita dei fondi Ue da cui pure si potrebbe attingere per la prevenzione dal rischio idrogeologico. E qui cadiamo nel grottesco: sono una marea i progetti finanziati da anni ma i cui cantieri non sono stati nemmeno aperti. È il caso del “risanamento ambientale dei laghi dei Campi Flegrei”: progetto finanziato per 65 milioni di euro, che prevedeva il termine dei lavori entro il 31 dicembre 2014 e invece nemmeno la data di inizio dei lavori risulta “disponibile”. Stessa sorte per l’adeguamento idraulico-strutturale del Torrente Bisagno a Genova. I lavori sarebbero dovuti cominciare a ottobre 2016. Ma, ahinoi, anche qui il condizionale è assolutamente (e drammaticamente) d’obbligo.
Tw: @CarmineGazzanni