Piace più a destra che a sinistra. Tanto da beccarsi le reprimende dei vari Nicola Fratoianni e Giuseppe Civati, che ne ha chiesto le dimissioni dopo i fatti di Piazza Indipendenza a Roma, e il plauso dei militanti leghisti che alla Bèrghem Fest di Alzano Lombardo hanno ammesso che è il miglior politico di Centrosinistra degli ultimi anni. Complice, anche e soprattutto, il famigerato codice di condotta delle Ong, le organizzazioni non governative, che ha scatenato polemiche pure dentro al suo stesso partito (vedere per credere alla voce Graziano Delrio) col rischio di provocarne le dimissioni, scongiurate solo grazie allo “scudo” alzato dal Quirinale da Sergio Mattarella. Nel bene e nel male, a seconda cioè che se ne condividano o meno idee e posizioni, in questo momento Marco Minniti è indubbiamente l’astro nascente del Governo di Paolo Gentiloni. Tanto da piacere persino ai giornali berlusconiani e, dicono i sondaggi, da essere insieme al presidente del Consiglio il membro dell’Esecutivo più amato dagli italiani. Non proprio bazzecole in tempi in cui la fiducia nei partiti è ridotta al lumicino. Soprattutto per uno che ha iniziato a masticare politica negli Anni ’80 nelle file della Federazione giovanile comunista italiana (Fgci) prima e del Partito comunista italiano (Pci) poi. Anni nei quali prima a Palazzo Chigi e poi al Colle c’era quel Francesco Cossiga al quale è stato accostato.
Eminenza grigia – Sarà forse per il suo carattere schivo, per quel modo di fare senza troppi fronzoli. Andando direttamente al sodo. Come quando 72 ore fa, davanti ai militanti del Pd riuniti alla Festa dell’Unità di Pesaro, se n’è uscito dicendo di aver temuto, nei giorni in cui gli sbarchi di migranti erano da bollino rosso, che fosse a rischio la tenuta democratica del Paese. “Quando il 29 giugno sono arrivati 12 mila 500 migranti in sole 36 ore su 25 navi diverse la situazione era davvero difficile e io quel giorno sono dovuto tornare subito dell’Irlanda – ha rivelato Minniti –. Non potevamo continuare a gestire in questo modo i flussi migratori e abbiamo agito in modo nuovo. Ora l’Europa ci ringrazia per questo. Il Mediterraneo centrale è tornato al centro dell’attenzione dell’Unione europea”. Parole condivise dal capo della Polizia, Franco Gabrielli, ma maldigerite dal ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che (forse) soffre l’ascesa dell’ex dalemiano poi veltroniano e infine renziano tanto da rimbrottarlo di brutto: “Non credo sia in questione la tenuta democratica del Paese per pochi immigrati rispetto al numero dei nostri abitanti. Non cediamo alla narrazione dell’emergenza perché altrimenti noi creiamo le condizioni per consentire a chi vuole rifondare i fascismi di speculare”. Dispute verbali a parte, mentre giornali e partiti, da destra a sinistra, danno la caccia al Macron italiano, ecco che “Marco” da Reggio Calabria, città che gli ha dato i natali 61 anni fa, una laurea in filosofia conseguita con una tesi nella quale s’è occupato delle Georgiche di Virgilio attraverso i Grundrisse di Karl Marx (roba per pochi eletti), scala posizioni. Certo lui, una vita passata in prima linea ma da dietro le quinte, non ha intenzione di fare le scarpe a nessuno. Anche se qualche malalingua dice che Matteo Renzi non digerisca troppo il suo scalpitare, che finisce col rubargli la scena a una manciata di mesi dalle elezioni.
Partito über alles – Difficile, quasi impossibile, pensare che Minniti stia facendo tutto questo artatamente. Anche perché “il partito prima di ogni cosa”, ha affermato netto in un’intervista rilasciata ad aprile al settimanale Tempi. Ma certo: mai dire mai. La storia narra che terminato il liceo Classico il “nostro”, figlio di un generale dell’Esercito, avrebbe voluto fare il pilota d’aereo. Come noto, è andata diversamente. In compenso, ora colleziona modellini di jet che conserva gelosamente e che ha portato con sé in tutti gli uffici nei quali s’è seduto. E che uffici. Dal 1998 ad oggi, Minniti non è praticamente mai rimasto senza poltrona, eccezion fatta – ovviamente – per gli anni in cui al Governo c’era il Centrodestra. Prima sottosegretario alla presidenza del Consiglio con D’Alema (“con Massimo abbiamo condiviso un’esperienza politica per certi versi straordinaria. Raggiunti gli scopi, ognuno ha preso la sua strada”, ha detto nel 2012 parlando del suo rapporto col Lider Maximo, del quale è stato coordinatore della segreteria politica), poi sottosegretario alla Difesa con Giuliano Amato, e ancora viceministro dell’Interno con Romano Prodi (2006-2008), sottosegretario con delega ai servizi con Enrico Letta e Renzi (2013-2016) e infine ministro. Recentemente col New York Times, che lo ha definito “il signore delle spie”, s’è tolto qualche sassolino dalle scarpe. La prima volta che ha parlato della necessità di un accordo con la Libia e del fatto che serviva un interlocutore autorizzato con cui negoziare, ha raccontato Minniti al quotidiano statunitense, “mi hanno riso in faccia”. Un sacrilegio per uno che si è vantato di conoscere la Libia meglio della “sua” Calabria. Il resto è storia nota.
Sparire e contare – Così com’è nota la sua mancanza di passione per i social network. Il capo del Viminale non cinguetta su Twitter, non scrive post su Facebook (come piace fare al segretario dem) o posta foto su Instagram. Niente di niente. In compenso, però, sul popolare sito di Mark Zuckerberg c’è una fan page, con all’attivo 645 like, dal titolo emblematico: “Marco Minniti Premier”. Pagina nella quale vengono pubblicati tutti gli articoli che lo riguardano, accompagnati dagli hashtag più disparati. Da #Minniti2018 (il più ricorrente) a #IostoconMinniti. Stesso discorso per le interviste sui giornali. Negli ultimi 4 anni se ne contano “solo” 8. “Sono la prova vivente che in politica si può sparire e contare lo stesso”, ha detto una volta a L’Espresso. Sempre in prima linea ma da dietro le quinte, appunto. Renzi è avvisato.
Twitter: @GiorgioVelardi