La legge elettorale non è pervenuta, sulla riduzione dei vitalizi ai parlamentari apprendiamo dal senatore Pd Sposetti che c’è una maggioranza non dichiarata pronta a bocciarla, lo Ius Soli è appeso ai calcoli politici di Alfano. Tutti gli impegni del Governo vacillano o sono già infilati su un binario morto e dal ministro dell’Istruzione senza laurea Valeria Fedeli sentiamo che fosse per lei porterebbe l’obbligo scolastico da 14 a 18 anni. Un bel modo per non parlare dei provvedimenti in lista d’attesa che non si riescono ad approvare e aprire un inutile dibattito sulle intenzioni. L’idea di obbligare i giovani a più anni di scuola ha vantaggi (pochi) e svantaggi (molti) ma di sicuro fa discutere di altro mentre il nuovo anno scolastico si appresta a partire con i problemi di sempre, edifici cadenti, programmi dell’anteguerra, persino organici non sempre sufficienti nonostante l’ultima maxi infornata di docenti. Dopo aver visto trionfare la collega alla Salute, Beatrice Lorenzin, sull’obbligo dei vaccini, la vecchia cigiellina dell’Istruzione si è ricordata delle basi di quella Sinistra statalista che vuole decidere ogni cosa al posto dei cittadini.
E così al Meeting di Comunione e Liberazione ha piazzato la sua idea brillantissima. Pazienza se la dispersione scolastica in mezza Italia è altissima, pazienza se anche tra chi esce dai licei a diciotto anni ci sono ignoranti più delle capre tanto evocate da Sgarbi, pazienza se insieme allo studio quello che serve davvero ai giovani è entrare in contatto con il mondo del lavoro. Un’economia come la nostra, che vuole davvero puntare su crescita e benessere, deve puntare sull’economia e sulla società della conoscenza così come peraltro ci viene dall’ultima Agenda Onu 2030 sottoscritta anche dall’Italia, ha detto il ministro. Di quale benessere si parli resta però un mistero, visto che le statistiche danno la disoccupazione giovanile nel nostro Paese sui livelli più alti in Europa e non sarà certo obbligando i ragazzi ad andare più a lungo in scuole dove non vogliono che si abbasserà uno dei dati più imbarazzanti per il Governo. Quella del ministro perciò è solo una perfetta “sparata” di metà agosto, non proprio la migliore lezione per gli studenti italiani che dalle Istituzioni fino al corpo insegnante dovrebbero apprendere il senso della sobrietà e della concretezza, e non certo il gusto per i facili slogan o la scappatoia del tirare la palla in tribuna.
Palla buttata in tribuna – Mentre la ministra lancia idee che ovviamente in questa legislatura non potranno vedere minimamente la luce, c’è infatti un nuovo anno scolastico da preparare, con sullo sfondo molti problemi che attendono di essere affrontati subito. Guai messi in fila dalla presidente dello Snals-Confsal, uno dei maggiori sindacati del settore, Elvira Serafini. “Gli ottantacinque euro lordi, scaglionati in uno o due anni – ha spiegato ricordando i compensi inadeguati della scuola italiana – non bastano. Se questo è l’aumento degli stipendi dei nostri docenti, allora chiediamo al Governo altro: riqualificare e ridisegnare il ruolo degli insegnanti, non solo in termini economici ma in termini di riconoscimento occupazionale e sociale, nell’ambito del sistema scolastico”. E non finisce qui. La scuola italiana ha oggi infiniti problemi, a partire dalla perdita di autorevolezza della figura dell’insegnante e dal nodo mai stretto tra l’insegnamento e lavoro. I programmi, a quanto dimostrano le statistiche, funzionano poco. I programmi didattici poi sono del tutto datati, mentre tutto il comparto dell’edilizia scolastica è una pena, con istituti che sono vere e proprie trappole per gli studenti, dove è un miracolo se non vengono giù i tetti in aula. Certo, il ministro ieri ha ammesso che la sua idea di estendere l’obbligo scolastico non si realizza in due giorni, scoprendo essa stessa che la folta capigliatura non l’ha difesa a sufficienza dai colpi di sole d’agosto, ma se prima del futuro sulla scuola si programmasse il presente sarebbe già questa una bella lezione.