di Stefano Sansonetti
L’aria da regolamento dei conti, all’interno dei nostri apparati di sicurezza, sembra aver ripreso improvvisamente quota. Il “merito”, stavolta, è di una dura lettera d’accusa nei confronti dell’Aise, il nostro Servizio segreto estero, a proposito della gestione delle informazioni sul caso Regeni. A scriverla è stato uno dei magistrati italiani più in vista, Armando Spataro, procuratore della repubblica presso il Tribunale di Torino. La missiva è stata consegnata ieri alle pagine interne di Repubblica. Ma si tratta di uno di quei messaggi la cui portata viene colta principalmente dagli addetti ai lavori. Spataro prende le mosse dall’ormai famoso “scoop” del New York Times, secondo il quale già nei primi mesi del 2016 il Governo americano avrebbe fornito a quello italiano, all’epoca guidato da Matteo Renzi, prove importanti sul coinvolgimento delle istituzioni egiziane nel sequestro e nell’uccisione del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni.
Il dettaglio – Della tempistica alquanto sospetta dell’articolo del New York Times si è già parlato diffusamente. Per molti osservatori dietro ci sarebbe un messaggio con cui alcuni ambienti Usa avrebbero espresso un certo fastidio nei confronti del Governo italiano. La lettera scritta da Spataro, però, evita di affrontare questo aspetto e sembra prendere per buoni i contenuti dell’articolo. Così il magistrato, che pure all’inizio della missiva sostiene di non avere alcuna conoscenza “del fondamento delle notizie diffuse dal New York Times”, sfrutta il pezzo per muovere accuse nemmeno troppo velate all’Aise, guidato da Alberto Manenti. Sarebbe infatti stato il nostro Servizio segreto estero, ribadisce il magistrato, ad avere ricevuto in prima battuta le scottanti rivelazioni americane sul caso Regeni. Citando a questo punto la legge italiana del 2007 sui Servizi segreti, Spataro sostiene che i direttori delle Agenzie (Aise ma anche Aisi) hanno l’obbligo di riferire alla polizia giudiziaria le notizie di reato apprese durante l’attività. Obbligo che può essere ritardato solo su autorizzazione del Presidente del Consiglio. E così il procuratore di Torino si chiede se queste notizie di reato sul caso Regeni siano state comunicate. In caso di risposta affermativa, sostiene, la questione sarà sicuramente all’attenzione della procura di Roma. Ma lo stesso Spataro, successivamente, sembra non credere a questa opzione. “Se l’Aise non ha inviato alla polizia quelle specifiche informazioni”, continua infatti il magistrato, “si pongono altre domande: è intervenuto un provvedimento del presidente del Consiglio che ha autorizzato tale ritardo?; se sì, quale ne è stata la motivazione?”. Spataro, però, sembra non credere neanche a questa seconda opzione. La prova sta in ciò che scrive subito dopo: “Se non è intervenuto alcun atto di questo tipo, le ragioni del mancato doveroso inoltro delle informazioni a chi stava indagando sono da chiarire sotto ogni profilo, con il contributo del presidente del consiglio, quale responsabile del Sistema dell’intelligence”.
L’affondo – Insomma, il procuratore di Torino fa capire che secondo lui l’Aise di Manenti si sarebbe tenuta le informazioni americane su Regeni. Un’accusa rumorosa. Perché, viene da chiedersi, un magistrato come Spataro, già pm a Milano e già coordinatore del dipartimento terrorismo ed eversione, ha evocato con una lettera questo scenario? C’è chi ricorda come il pm avesse all’epoca indagato sul famoso rapimento a Milano dell’imam egiziano Abu Omar, nel quale secondo le sue ricostruzioni l’allora Sismi (oggi Aise) di Nicolò Pollari avrebbe dato copertura alle azioni degli agenti Cia. Il lavoro di Spataro fu però sterilizzato dal segreto di Stato apposto dai Governi Berlusconi e Prodi, che blindarono Pollari. Ma è complicato stabilire se questo precedente abbia in qualche modo pesato sulle attuali accuse del pm all’Aise. Di sicuro per i nostri Servizi esteri non sono tempi semplici. A luglio c’era stata la cacciata dall’Aise di Sergio De Caprio, conosciuto come “Capitano Ultimo”, colonnello dei Carabinieri che nel ‘93 perfezionò la cattura di Totò Riina. Sullo sfondo si intuiscono i contorni della partita forse più grande: la successione di Manenti, il cui mandato scadrà nel 2018.
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