Due giorni fa l’ormai ex direttore generale di Atac, Bruno Rota, al quale ieri sono state ritirate le deleghe (lui ha rivelato di essersi già dimesso il 21 luglio dando vita all’ennesimo casus belli), ha dichiarato pubblicamente quello che tutti, ormai da tempo, sanno ma non dicono. E cioè che l’azienda del trasporto pubblico di Roma è tecnicamente fallita. Del resto, bastava leggere i bilanci per capirlo da soli. Nei giorni scorsi su questo giornale Stefano Sansonetti ha ricordato come negli ultimi 5 anni (2012-2016) la società controllata al 100% dal Campidoglio sia costata all’amministrazione comunale (quindi agli italiani) qualcosa come 2,7 miliardi di euro. Una media di 540 milioni l’anno, con costi lievitati dai 461 milioni del 2012 ai 605 dell’anno scorso. Accumulando perdite, al di là dei sussidi ricevuti, per più di un miliardo 300 milioni, come rivelato dall’uscente Rota. Senza dimenticare gli 8 tra amministratori delegati e amministratori unici che si sono alternati dal 2008. Circostanze che non permetterebbero a nessuno di reggere una situazione finanziaria di questo tipo. In questo senso neanche l’amministrazione di Virginia Raggi, arrivata promettendo faville, è minimamente riuscita ad invertire la rotta. Così l’immobilismo ha finito per far esplodere il bubbone.
“È la stessa storia dell’Alitalia”, dice senza mezzi termini Marco Ponti, docente al Politecnico di Milano e uno dei massimi esperti di economia dei trasporti in Italia. “Nessuno finora ha mai portato i libri in Tribunale, come sarebbe successo per qualsiasi altra azienda, solo perché sono stati usati trucchi e stratagemmi che hanno avuto come unico effetto quello di allungare i tempi senza risolvere alcunché. I sussidi statali sono stati un gelato al veleno – prosegue Ponti – e hanno deresponsabilizzato tutti, in primis i manager che si sono alternati negli anni”.
Orecchie da mercante – Parlando con La Notizia, Ponti racconta di aver parlato con la sindaca della questione-Atac. Cosa avrebbe potuto e dovuto fare l’amministrazione 5 Stelle per tentare di salvare in extremis la municipalizzata? “Si sarebbe dovuta immediatamente studiare una formula con la quale garantire un’uscita, anche parziale, dalla crisi. Cosa avevo suggerito? Di indire una gara ‘a spezzatino’, come peraltro sostengono pure i Radicali che stanno raccogliendo le firme per un referendum. Nessuno lo impediva e tuttora lo impedisce alla Raggi: negoziando coi sindacati, i lavoratori rischierebbero poco o nulla perché sono notevolmente protetti”. E invece niente. Il M5S, spiega ancora il docente, “ha un’idea di gestione della cosa pubblica che definirei irrealistica. Loro pensano che l’onestà basti, ma non è proprio così. Serve una strategia precisa e l’unica strada per cambiare è quella di fare gare, non per finta, per responsabilizzare tutti”.
Fumo negli occhi – Così, rivela Ponti, “abbiamo assistito a manager che hanno continuato a chiedere soldi allo Stato per via partitica pensando che imbottendo di medicine il malato si potesse risolvere la questione. Ma questo è un malato terminale, è un’azienda fallita”. Il docente ci va giù duro: “Chi ha avuto e ha in mano il destino di Atac e delle altre municipalizzate non bada tanto al bene dell’azienda e a quello dei cittadini che usufruiscono dei servizi offerti” ma “solo a drenare voti e chiedere denaro, circostanze che gridano vendetta. È così che si risolvono le crisi aziendali?”, domanda provocatoriamente. Quanto al possibile intervento di Ferrovie dello Stato nell’Atac, di cui si è parlato recentemente, Ponti non ha dubbi. “È un gioco delle tre carte”, visto che “si tratterebbe dell’ennesimo salvataggio coi soldi pubblici, cioè nostri: non sfuggirà a nessuno il fatto che FS è al 100% pubblica e anche pesantemente sussidiata”. No, certo che non sfugge.
Twitter: @GiorgioVelardi