Oggi sarà il presidente della corte Enrico Fischetti a leggere la decisione dopo la camera di consiglio. La traccia biologica – prova granitica per i giudici di primo grado – è l’elemento intorno a cui ruota l’intero caso. L’assenza del suo Dna mitocondriale “non inficia il risultato: è solo il Dna nucleare ad avere valore forense” per il rappresentante dell’accusa Marco Martani. “Quel Dna non è suo, non c’è stato nessun match, ha talmente tante criticità – 261 – che sono più i suoi difetti che i suoi marcatori”, per i difensori Claudio Salvagni e Paolo Camporini.
La prova scientifica “assolutamente affidabile” per l’accusa va letta insieme agli altri indizi di un’indagine. Contro l’imputato ci sono altri elementi: dal passaggio del furgone davanti alla palestra alle fibre sulla vittima compatibili con la tappezzeria del suo Iveco; dalle sferette metalliche sul corpo di Yara che rimandano al mondo dell’edilizia all’assenza di alibi. Indizi che la difesa respinge. Il furgone immortalato vicino al centro sportivo di Brembate non è di Bossetti; le sfere e le fibre non riconducono con “nessuna certezza” all’imputato che non ha mai cambiato abitudini e che anche quella sera era a casa.