C’è Romano Prodi, che ha messo la tenda nello zaino ed è pronto a piantarla da qualche altra parte. C’è Walter Veltroni, che senza troppi giri di parole ha ammesso che il Pd “non ha più un’identità”. E c’è pure il ministro della Cultura, Dario Franceschini, secondo il quale “il Pd è nato per unire il campo del Centrosinistra non per dividerlo”. Matteo Renzi è sotto assedio. Complici le sconfitte ai ballottaggi di domenica in alcune storiche roccaforti della Sinistra, da Genova a Pistoia passando per La Spezia e Sesto San Giovanni, il segretario del Pd pare aver perso il tocco magico di cui godeva un tempo, già usurato dopo la batosta del referendum del 4 dicembre. Così, come peraltro preannunciato off the record da qualcuno già prima delle Amministrative, adesso nel partito del Nazareno il rischio è quello di un nuovo fuggi-fuggi. Lo smottamento però non partirà dai gruppi parlamentari, anche se qualcuno in queste ore sta ragionando sul da farsi. Ma dai territori, quelli che una volta erano la colonna vertebrale della Sinistra e che adesso, con “Matteo” a capo del Nazareno, le hanno voltato le spalle.
Smottamento – Scherzo del destino, ad “incassare” è Articolo 1-Mdp, il partito nato a fine febbraio dopo l’uscita dal Pd dei vari Pier Luigi Bersani, Massimo D’Alema e Roberto Speranza. L’ultimo colpo di scena, tanto per dire, è andato in scena a Lecce, città che domenica con Carlo Salvemini il Centrosinistra ha strappato dopo 22 anni al Centrodestra. Nemmeno il “vero miracolo”, come l’ha definito il manifesto, è bastato però ai dem per evitare nuove fuoriuscite: così ieri nel capoluogo salentino la bellezza di 103 tra sindaci, assessori, consiglieri comunali ed ex dirigenti di partito capeggiati dal segretario provinciale del Pd, Salvatore Piconse, si sono dimessi dai rispettivi incarichi prima delle scadenza del mandato prevista per il prossimo autunno passando con Mdp. “Il Pd – ha detto Piconse – è in questo periodo una comunità divisa e disorientata poiché in questi anni la ‘torsione personalistica’, la venatura populista e plebiscitaria, unita all’occupazione di uno ‘spazio’ puramente centrista nel panorama politico nazionale, hanno modificato il patrimonio genetico del partito il quale si è del tutto allontanato dei suoi valori fondativi e dei suoi principi originari di democrazia e di giustizia sociale e di libertà”.
Pensiero unico – Ma non solo. Nel Reggino, 72 ore fa, lo smottamento è stato addirittura peggiore. A prendere tutto e andarsene (sempre coi bersanian-dalemiani) sono stati 300 fra iscritti e simpatizzanti del Pd. Una frattura che gli interessati hanno definito con quattro aggettivi: “Rigida, netta, insanabile e profonda”. Più chiaro di così. Non vi basta? Sabato scorso il segretario dei Giovani Pd di Modena, Gregory Filippo Calcagno, si è dimesso lasciando il partito. “L’importante è reprimere il dissenso perché il Pd sia fatto esclusivamente di tanti piccoli tifosi che la pensino tutti allo stesso modo”, ha attaccato in una nota affidata ai social network: “L’importante è badare al consenso con qualche sconclusionata proposta semplice che scimmiotta i populisti nei toni e nei contenuti. Di tutto questo ne ho abbastanza”. E non è finita qui.
Twitter: @GiorgioVelardi