Ci risiamo. Neanche domani pomeriggio, a meno di colpi di scena, il Parlamento riunito in seduta comune “partorirà” il nome del quindicesimo giudice della Corte costituzionale. Ieri nel Transatlantico di Montecitorio gli esponenti dei principali partiti, a cominciare da Pd e Forza Italia (alla quale spetta il compito di avanzare una proposta), hanno ribadito a La Notizia che “ancora non c’è intesa sul nome”.
Silvio Berlusconi, è cosa nota, vorrebbe che al posto di Giuseppe Frigo, eletto nel 2008 in quota FI e dimessosi all’inizio di novembre 2016 per motivi di salute, andasse Franco Coppi, il noto penalista che nel corso della sua decennale carriera ha difeso lo stesso Berlusconi nel processo Ruby. Coppi, racconta però un parlamentare di Centrodestra a La Notizia, avrebbe declinato l’invito (non solo per ragioni di portafogli). Anche se l’ex premier non demorde. Sullo sfondo, comunque, resta l’inerzia di un Parlamento che, oltre alla melina sulla legge elettorale e su decine di altri provvedimenti parcheggiati ai box (ddl concorrenza il caso più clamoroso), se ne infischia persino dei richiami del presidente della Repubblica.
Sì perché il 26 aprile Sergio Mattarella aveva esortato le Camere a provvedere “sollecitamente al compimento di due importanti adempimenti istituzionali”: la legge elettorale e, appunto, l’elezione del giudice della Corte. Appello caduto nel vuoto. Quella di domani sarà infatti la sesta votazione in materia: la prima è andata in scena l’11 gennaio, l’ultima il 15 giugno. Il denominatore comune? La “fumata nera”. Si andrà avanti a oltranza.
Twitter: @GiorgioVelardi