I numeri non lasciano spazio a interpretazioni discordanti: c’è qualcosa che non va se in Italia vivono 1,645 milioni di musulmani, ma le moschee sono soltanto sei (a Segrate, Ravenna, Roma, Catania, Colle Val d’Elsa e Palermo). Parliamo, cioè, di una “chiesa” ogni 245mila persone. Un dato che, ovviamente, non può reggere. Ed è allora inevitabile che, spesso, nascano luoghi di culto di fortuna. Scantinati, garage, stanzoni nei quali ogni regola anche di sicurezza diventa un optional. “Il problema – ci dicono direttamente dall’Ucoii (Unione delle Comunità Islamiche in Italia) – è che non c’è una legge che oggi ti consenta di costruire una moschea dove una comunità pensa sia opportuna. Certo, c’è la legge che ti dice che è garantita la libertà di culto, ma di fatto c’è un vuoto normativo. Finchè non si colma tale vuoto, è tutto a discrezione di Comuni e Regioni”. Con tutte le conseguenze e i ritardi del caso.
Basti questo: proprio perché il nostro Stato non ha minima contezza di quanti siano i luoghi di culto islamici, ci ha pensato l’Ucoii stesso a mapparli, contandone ben 665. “L’abbiamo fatto – dicono ancora a La Notizia – per un discorso di trasparenza e per rendere eventuali controlli più agevoli”. Peraltro, continuano, “il numero è incompleto perché mancano i dati di tre Regioni: in totale siamo sui 1.200”. Fa niente se spesso, proprio a causa di una legge poco chiara, tali luoghi sono spesso di fortuna, posti in cui “nemmeno la comunità ha piacere a stare, ma sono gli unici che si riescono a trovare, spesso in condizioni fatiscenti, pagate a prezzo caro, dietro cui ci sono episodi di abusivismo”, commentano sconsolati dall’Ucoii. Insomma, lo Stato è colpevole di una mancanza normativa che lascia spazio al far west. Una situazione delicata, insomma, specie visto il periodo storico che stiamo vivendo. E che dovrebbe invitare a riflettere se consideriamo tra le altre cose che l’ultimo arrestato per terrorismo (pochi giorni fa a Crotone, ndr) cercava di fare proselitismo proprio all’interno di uno dei 1.200 luoghi di culto sparsi nel Paese.
Detenuti di serie B – Ma non è finita. Perché l’abbandono è visibile anche nell’ambito carcerario. Anche qui sono i dati che parlano: secondo l’ultima relazione di Antigone. sono 6.138 i detenuti che si dichiarano musulmani (l’11,4% del totale), cui però si aggiungono altri 5mila che non hanno voluto dichiarare la loro preofessione ma che “provengono da paesi tradizionalmente musulmani”. E arriviamo al punto: il sistema carcerario italiano manca di ministri di culto islamici, col rischio ovviamente che imam “improvvisati” possano fare facile proselitismo. Perché se infatti per legge ogni istituto deve avere (e nei fatti ha) almeno una cappella (se ne contano più di 200 in totale) con sacerdote al seguito (sono più di 400), il discorso è ben diverso per l’Islam. Ad oggi, infatti, gli imam che possono entrare nelle strutture penitenziarie sono una miseria: 47. Il conto è immediato: parliamo di un ministro ogni 130 praticanti. Se contiamo anche gli altri 5mila detenuti provenienti da Paesi musulmani, un imam ogni 247 praticanti. Ecco: libertà di culto? Esiste. A parole.
Tw: @CarmineGazzanni