Se si volesse fare una sintesi estrema dell’ultimo Economic Outlook realizzato dall’Ocse, si potrebbe dire che mentre tutti i 25 Stati membri dell’organizzazione internazionale crescono, c’è un solo Paese che continua ad andare ad andamento lento: l’Italia, manco a dirlo. Nonostante la revisione al rialzo del Pil del primo trimestre arrivata dall’Istat, infatti, il nostro Paese resta saldamente fanalino di coda tra i Paesi Ocse. I numeri sono tragici: nel 2017 la crescita della Penisola sarà dell’1% ma nel 2018 si fermerà a +0,8%, il dato più basso come detto tra tra quelli dei 35 Stati membri. E il pil mondiale? Ovviamente dovrebbe accelerare e arrivare al +3,6% nel 2018, spinto dalla crescita della produzione industriale e dalla ripresa dell’occupazione, oltre che dei flussi commerciali.
Andamento lento – C’è da dire, peraltro, che in realtà il dato si basa sul presupposto che Roma metta in atto un aggiustamento fiscale pari all’1% del Pil “attraverso un aumento delle tasse sui consumi e tagli alla spesa pubblica, come richiesto dall’Unione Europea”, sebbene “il governo abbia recentemente indicato l’intenzione di attuare un aggiustamento fiscale dello 0,3%“. L’organizzazione non entra nel merito della disputa con Bruxelles, ma si limita a consigliare di “allargare la base di tassazione, perseverando nella lotta contro l’evasione fiscale e introducendo tasse sugli immobili basate su valori catastali aggiornati”, cosa che “alzerebbe gli introiti e rendere le tasse più eque”. Occorre poi “dare la priorità agli investimenti pubblici in infrastrutture, a programmi di ricerca e alla lotta alla povertà e al proseguimento delle riforme strutturali”. In altre parole, insomma, l’andamento lento potrebbe essere ancora più lento di quanto già previsto.
Contributo limitato – Ma le batoste non finiscono qui. “Nonostante il suo ampio settore manifatturiero”, il contributo dell’Italia all’economia globale resta “limitato”, sottolinea l’Ocse. “Molte imprese sono piccole e soffrono di una bassa produttività” e “l’inefficacia sociale e le politiche di formazione” hanno impedito all’Italia di “trarre maggiori benefici dalla globalizzazione“. Cosa che richiede più “innovazione e concorrenza” e “la ristrutturazione delle imprese insolventi“. Tra l’altro, il rapporto invita ad aumentare “innovazione e competitività” e fare “ulteriori progressi” di riforma per accelerare la crescita e ridurre il debito, che è dato al 131,8% del Pil nel 2017 e al 130,6 nel 2018, circa due punti inferiore al picco 2016 (132,5%). Un aggiustamento – si legge nel documento – attuato “nonostante l’economia marci ben al di sotto del proprio potenziale e la ripresa sia ancora fragile”.