C’è qualcosa che non torna. Perché se i reati stanno diminuendo sensibilmente, i detenuti stanno crescendo. Il dato, paradossale, emerge dall’ultimo rapporto, presentato oggi, dall’associazione Antigone: negli ultimi sei mesi, infatti, il numero dei detenuti presenti nei 190 istituti penitenziari della Penisola è aumentato di circa 1.500 unità, raggiungendo quota 56.436. Negli ultimi 28 mesi, si legge nel rapporto, i detenuti sono cresciuti di ben 4.272 unità. Altro che politica contro il sovraffollamento, insomma. Eppure, come detto, i reati diminuiscono sensibilmente. Nel 2015 il totale di quelli denunciati è stato pari a 2.687.249, contro i 2.812.936 del 2014. Negli ultimi decenni il calo di alcuni reati è stato enorme: nel 1991 gli omicidi sono stati 1.916, a fronte dei 397 del 2016. Nel giugno del 1991 i detenuti erano però 31.053. Dunque si ammazzava cinque volte di più, ma si finiva in galera due volte di meno. “Non si era ossessionati dalla sicurezza”, commentano dall’associazione. Non solo. Come sottolinea ancora il rapporto, tra il 2014 e il 2015 sono calati anche tutti i reati che dovrebbero creare maggiore allarme: violenze sessuali (-6,04%), rapine (-10,62%), furti (-6,97%), usura (-7,41%), omicidi volontari (-15%).
Una situazione, insomma, tutt’altro che rosea. Colpa anche del fatto che in Italia le misure alternative alla detenzione restano al palo. È noto, però, che il carcere produca recidiva. Ma pare proprio che il nostro Stato continui a fare orecchie da mercante. E così si assiste a una lievissima crescita delle misure alternative (erano 24.088 al 28 febbraio 2017, alla fine del 2016 erano 23.424) che tuttavia, come detto, non si accompagna storicamente a una riduzione del ricorso al carcere. Al contrario, storicamente al crescere delle misure alternative cresce anche la popolazione detenuta: triste espansionismo penale che ha riguardato gli ultimi decenni.
Undici euro al giorno per i detenuti – C’è, poi, il capitolo spesa. Il bilancio del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria nel 2017 è di circa 2,8 miliardi di euro. Una cifra sostanzialmente stabile negli ultimi anni, anche se in calo di 40 milioni rispetto al 2016. Ma ciò che stupisce è che più del 70% delle risorse vdaa alla voce “Polizia Penitenziaria”. C’è da dire, però, che tale fetta di stanziamenti non comprende altre spese a beneficio della polizia penitenziaria stessa come i buoni pasto, mense del personale, vestiario, armamento del corpo, trattamento previdenziale e così via. E i detenuti? Solo l’8,5% delle risorse (circa 11 euro al giorno ciascuno) è speso direttamente per i detenuti. Le attività di istruzione e scolastiche hanno un budget ben definito (2,8 milioni) così come le attività culturali, ricreative e sportive oltre che la gestione delle biblioteche (625mila euro). Invece i compensi per i detenuti lavoranti sono raggruppati insieme ai costi per il loro trasporto e per la scorta e si trovano in due voci diverse per un totale di 115 milioni.
Il “suicidio” che è un giallo – Parliamo, dunque, di una situazione esplosiva e che, infatti, ha portato non a caso anche a episodi tragici. Secondo la rilevazione di Ristretti Orizzonti, sono stati 45 i suicidi in carcere nel corso del 2016, molti dei quali avvenuti in isolamento. Il 24 ottobre a morire è stato Youssef Mouchine, nel carcere di Paola (Cosenza). La famiglia ha chiesto l’apertura di un’inchiesta dato che sono troppe le ombre sul caso: “il detenuto – racconta Antigone – era infatti a pochi giorni dalla fine della pena e non aveva mai manifestato tendenze suicide; si era lamentato con i familiari di maltrattamenti subiti, della detenzione in una cella d’isolamento (cella “liscia”) dove era costretto a dormire per terra, del frequente divieto di comunicare con i familiari”. Non solo. Un ulteriore motivo di indagine è il fatto che la morte del detenuto è stata notificata alla famiglia giorni più tardi, addirittura dopo la sepoltura, contravvenendo al diritto dei familiari di vedersi consegnare il corpo per procedere al rito funebre di loro scelta.
Tw: @CarmineGazzanni