Quella dello school bonus è la storia di un fallimento annunciato. Certo, le intenzioni erano buone: consentire ai privati di fare delle elargizioni per consentire lavori di ristrutturazione e rifacimenti delle scuole. Ma la realtà, secondo gli unici dati disponibili (La Notizia ha chiesto eventuali cifre aggiornate, senza ottenere riscontri), racconta un altro fatto: in sei mesi sono stati raccolti appena 58mila euro, grazie a 27 donazioni. Una media appena superiore a una ogni settimana e la cifra inferiore ai 10mila euro al mese. Si dirà: colpa dei privati. Non proprio. La novità, prevista dalla riforma della Buona Scuola, mette una serie di paletti, soprattutto alle scuole pubbliche. Mentre per quelle paritarie è tutto più facile: esiste un conto corrente intestato su cui versare direttamente i soldi. Tanto che la deputata del Partito democratico, Anna Ascani, ha depositato un’interrogazione parlamentare chiedendo spiegazioni e, contestualmente, una correzione di rotta al ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli. Anche perché il testo interviene su tre aree di applicazione: realizzazione di nuove scuole, manutenzione e potenziamento di edifici esistenti e sostegno all’occupabilità degli studenti. Ma non sono chiari i contenuti specifici: manca la circolare attuativa.
Come funziona – La legge prevede che semplici cittadini, enti non commerciali e soggetti titolari di reddito di impresa “possano effettuare un’erogazione liberale in denaro in favore delle scuole del sistema nazionale di istruzione (statali e paritarie)”, spiega il sito creato appositamente per lo school bonus. Nel dettaglio al contribuente viene concesso un credito d’imposta pari al 65% per le donazioni effettuate nel 2016 e 2017 e del 50% per le elargizioni messe a disposizione nel 2018. La norma, inoltre, fissa un tetto di 100mila euro di agevolazioni fiscali per ciascun periodo d’imposta. Ogni cittadino è libero di scegliere la scuola beneficiaria dei soldi. L’istituto incassa il 90% dell’erogazione, mentre il restante 10% confluisce in un fondo perequativo, che dovrebbe essere redistribuito alle scuole che ottengono donazioni inferiori alla media nazionale. Sembra tutto perfetto.
I problemi – L’inghippo, però, si crea sui soldi dati alle scuole pubbliche, vittima di un iter burocratico elefantiaco. E peraltro spesso le più bisognose di fondi per interventi di ristrutturazione.“Le difficoltà riscontrate hanno limitato la disponibilità dei donatori ed è stato anche rilevato che non è possibile per l’amministrazione, o per l’istituto beneficiario, avere informazioni sull’entità della raccolta fondi se non ad approvazione annuale del bilancio dello Stato”, ha sottolineato Ascani. La deputata dem ha rilevato una questione, che è diretta conseguenza di una legge pensata male: “L’impossibilità di poter versare direttamente, le somme alle scuole statali sembrerebbe entrare in contrasto con la disciplina del fundraising, strumento che sta godendo, invece, di un più ampio utilizzo rispetto agli anni passati”.