Tirare a campare il più possibile. Anche fino al maggio 2018, termine ultimo in cui l’Italia è tenuta andare alle elezioni per rispetto della legge. Il partito dei frenatori – o della palude come direbbero i renziani – è molto nutrito e variegato. Posizioni tanto diversi che hanno un unico intento: rimandare l’appuntamento con le urne. Il grande sponsor è quel Sergio Mattarella che siede al vertice delle Istituzioni. Il presidente della Repubblica ha già evitato la fine anticipata della legislatura a dicembre dopo il referendum ed è pronto a farlo ancora, seguendo il solco del suo predecessore, Giorgio Napolitano. In nome della stabilità i due Capi dello Stato hanno fatto alternare tre presidenti del Consiglio a Palazzo Chigi: Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni. Il Quirinale è insomma il baluardo contro l’assalto di chi chiede una fine anticipata della legislatura. La motivazione del Colle è rodata: senza una legge elettorale vera, si rischia l’ingovernabilità. Così molti partiti fanno di tutto per non cancellare questo alibi, traccheggiando sulla discussione del sistema per eleggere i prossimi parlamentari.
Poteri forti – L’Unione europea ha dato la sua benedizione all’operazione-frenata. La momentanea uscita di scena di Renzi ha eliminato un problema a Bruxelles: per quanto poco incisivo, il Rottamatore aveva inasprito il dibattito sull’Ue creando qualche grattacapo. Meglio il mite Gentiloni, profilo in perfetta continuità con l’Italia a rimorchio degli euroburocrati. Un sentire comune ai poteri forti, specie quelli internazionali, che preferiscono un Paese più addomesticabile. Come è stato nel caso della manovrina imposta per correggere i conti di uno zero virgola. Dopo qualche battibecco, il Governo si è messo al lavoro per accontentare le richieste con il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, a fare da equilibrista tra le pressioni del Pd e la volontà di dare una risposta al presidente della commissione Jean-Claude Juncker.
Partiti immobili – Tra i leader di partito Silvio Berlusconi è l’alfiere del partito dei frenatori: l’ex presidente del Consiglio non ha alcun interesse a un ritorno al voto. Prima di tutto perché il Governo Gentiloni si è dimostrato un valido appoggio nei momenti di difficoltà: durante il tentativo di scalata di Vivendi a Mediaset, il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, è intervenuto in maniera energica a difesa del Biscione. Il Cavaliere non ha dimenticato tanta lealtà nei confronti dell’azienda di famiglia. E sarebbe disposto, senza dare troppo negli occhi, a fare da stampella all’Esecutivo in caso di eventuali agguati parlamentari. Forza Italia non è certo l’unico partito interessato ad andare avanti. Il Movimento democratico e progressista di Pier Luigi Bersani deve costruire una piattaforma solida per essere competitivo e cercare di drenare i voti in uscita a sinistra: al momento è solo un soggetto in fase embrionale. Perciò meglio rinviare il voto fino al 2018. Stessa situazione per Sinistra italiana, guidata da Nicola Fratoianni, che ha stipulato l’alleanza con Possibile di Pippo Civati: per cementare il progetto politico, è necessario almeno un altro anno. L’inedito asse tra progressisti e conservatori si consolida in altri modi: è scontato che pure Alternativa popolare voglia proseguire la legislatura. Si tratta di una forza politica che è data sotto il 3% in alcuni sondaggi, ma occupa ben tre poltrone di Governo con Angelino Alfano al ministro degli Esteri, Beatrice Lorenzin alla Salute ed Enrico Costa agli Affari regionali. Infine c’è la truppa dei parlamentari in cerca di vitalizi: molti di loro sanno che non ci sono speranze di rielezione. Quindi meglio tenersi stretto il seggio e lo stipendio fino all’ultimo giorno.
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