Dopo le minacce delle bombe su Pyongyang, il presidente statunitense, Donald Trump, ha teso la mano alla Corea del Nord. “Se fosse appropriato, e nelle giuste circostanze, per me incontrarlo, lo farei di sicuro. Ne sarei onorato”, ha detto in un’intervista a Bloomberg in rifermento al dittatore Kim Jong-un. Parole abbastanza sorprendenti dopo l’innalzamento dei toni delle scorse settimane, quando l’intervento militare era dato come “inevitabile”.
Trump si è addentrato in un’analisi personale sul presidente nordcoreano: “Era un uomo giovane di 26 o 27 anni quando è subentrato al potere dopo la morte di suo padre. Sta affrontando ovviamente gente molto tosta, in particolare i generali ed altri. E ad un’età molto giovane è stato in grado di assumere il potere” Quindi ha immaginato possibile complotti nei suoi confronti: “Tante di persone, ne sono sicuro, hanno tentato di prendere il suo posto, che fosse lo zio o qualsiasi altro”. A questo punto è arrivato un elogio quantomeno inatteso: “Quindi ovviamente è un tipo molto sveglio”. La Casa Bianca, però, ha smentito attraverso un portavoce: “Devono smetterla di provocare”, ha puntualizzato rispetto alla relazione con la Corea del Nord.
L’improvviso cambio di rotta di Trump è comunque frutto di un intenso lavoro diplomatico portato avanti con la Cina, a cui il numero uno della Casa Bianca ha più volte riconosciuto un ruolo importante nella crisi in Corea del Nord. Washington ha anche cercato una convergenza con altri Paesi dell’area per individuare una strategia comune con lo scopo di evitare un blitz inatteso, come quello avvenuto in Siria, che ha lacerato ulteriormente i rapporti con la Russia.