Altro che amministrazione a 5 Stelle. Quello che tocca la giunta capitolina guidata da Virginia Raggi è un dossieraggio a 5 Stelle. Peraltro interno, teso ad annientare la presunta concorrenza contro la sindaca pentastellata. Pare infatti che ora abbia un’ipotesi di reato – la calunnia – e almeno due indagati, il fascicolo aperto a fine gennaio dalla Procura di Roma per il presunto dossieraggio ai danni dell’attuale presidente dell’assemblea capitolina Marcello De Vito. All’inizio del 2016, si ricorderà, De Vito venne “fatto fuori” dalla corsa per le Comunarie per individuare il candidato sindaco della capitale, sulla base di un’accusa – aver trafficato su una licenza edilizia – poi rivelatisi del tutto falsa.
La ricostruzione – Secondo quanto infatti rivelato ieri da Repubblica, starebbe accelerando l’inchiesta sul “processo” interno, ordito con prove fasulle dagli ex colleghi di De Vito in consiglio comunale, avviato dopo l’esposto presentato l’estate scorsa dal senatore di centrodestra Andrea Augello. Furono infatti Virginia Raggi, Daniele Frongia ed Enrico Stefàno – i primi due all’epoca in gara contro il candidato cinquestelle che, più di un anno fa, partiva favorito nella consultazione fra gli iscritti – a sollevare il sospetto che lo sfidante sostenuto dalla deputata Roberta Lombardi avesse commesso un abuso d’ufficio nel corso del suo mandato in Campidoglio. A provarlo non solo la ricostruzione dei fatti dipanatisi tra fine 2015 e gennaio 2016, ma pure le chat dei consiglieri comunali e municipali in cui, alla vigilia del voto online, De Vito venne definito “inaffidabile come candidato sindaco”. La colpa? Essersi avvalso qualche mese prima, il 19 marzo, del potere concesso a tutti i consiglieri comunali per avere dagli uffici capitolini “tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato”. Nel caso di specie, aveva compiuto un accesso agli atti per verificare se un presunto condono in un seminterrato della zona Aurelia fosse stato autorizzato dietro il rilascio di una mazzetta. “Ragazzi scusate, ma per verificare il pagamento di una mazzetta fai un accesso agli atti? E perché non vai dalla polizia?”, commentò sarcastica Raggi in chat. Peraltro a suffragare l’ipotesi della Procura c’è soprattutto l’incontro del 7 gennaio 2016 tra De Vito insieme a Raggi, Frongia e Stefàno alla Camera, alla presenza pure dei deputati Alessandro Di Battista e Carla Ruocco (allora membri del direttorio, poi sciolto), di Roberta Lombardi, Paola Taverna ed Enrico Baroni, con i capi della Comunicazione Rocco Casalino e Ilaria Loquenzi a far da supervisori. In quella circostanza i tre colleghi accusarono “Marcello” di abuso d’ufficio, esibendo il parere di un autorevole legale. Un’accusa che fece capitolare la candidatura dello stesso a sindaco di Roma.
Tesi e smentite – Per ora la Procura di Roma ha smentito l’indiscrezione ci siano degli indagati, ma non che ci sia stata un’accelerazione sul fronte delle indagini. Insomma, la tesi che serpeggia nei corridoi M5S è che i nomi degli indagati in realtà ci siano. E che potrebbe a breve scoppiare un altro bubbone grosso come una casa per la Raggi, già con la spada di Damocle che penzola sulla sua testa per l’affaire Marra.