Sembravano la Terra promessa della politica, lo strumento a cui non si poteva rinunciare, tanto che sono arrivate decine di proposte di legge. E invece oggi le primarie si avviano mestamente verso la rottamazione proprio per mano di quel Matteo Renzi che, con le adunate ai gazebo, ha scalato il partito prima nella sua Firenze e poi sul piano nazionale. Le primarie del Pd, fissate il prossimo 30 aprile, segnano l’ultimo passaggio di un’involuzione. Perché i milioni di persone, pronti a versare due euro per eleggere un leader di partito o un candidato di una coalizione, sono il ricordo di una fase politica in archiviazione. Domenica, nella migliore delle ipotesi, andranno ai seggi dem un milione e mezzo di italiani. Ma altre stime addirittura prefigurano un crollo al di sotto del milione, la soglia più bassa di sempre.
Va tutto bene – Renzi ha tenuto sotto coperta la competizione che porterà all’elezione del nuovo segretario dem. La bassa affluenza è la polizza di una vittoria con un vantaggio schiacciante rispetto agli avversari, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano. Anche sul confronto televisivo ha scelto il basso profilo, concedendo il minimo sindacale su Sky. Meglio, infatti, che si parli meno possibile delle primarie. Dalle parti del Rottamatore sono pronti a tutto per portare a casa un risultato che, come ha specificato lo stesso ex premier, significa correre per la presidenza del Consiglio alle prossime elezioni. “Chi diventa segretario è anche il candidato a Palazzo Chigi”, ha specificato Renzi nella newsletter settimanale. Insomma, per lui va tutto bene: basta vincere e pazienza se poi occorrerà staccare la spina alle primarie. E dire che dall’inizio della legislatura sono state depositate 18 proposte per inquadrare le primarie in un quadro normativo. Dal testo presentato dal deputato Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) a quello proposto da Nello Formisano (Movimento democratico progressista), ci sono tante idee da destra a sinistra – comprese quelle per la digitalizzazione proposta dalla deputata Mara Mucci (Civici e Innovatori) – su come migliorare questo strumento di partecipazione. Che però ora sembra sedotto e abbandonato addirittura nelle realtà locali: è stato usato solo in 4 Comuni su 16 per le amministrative di giugno.
Peso dei fuoriusciti – Certo, sull’affluenza alle primarie del Pd pesa il macigno della scissione. Tanti elettori di Centrosinistra, un tempo entusiasti di poter indicare il leader, diserteranno i gazebo, perché hanno scelto di defilarsi, magari mobilitandosi per il Movimento democratico e progressista fondato da Pier Luigi Bersani, Roberto Speranza e Massimo D’Alema. Il disinteresse è tracimato quasi nell’ostilità. Quindi Orlando ed Emiliano, che in fondo speravano in una sorta di “appoggio esterno” degli ex compagni, hanno dovuto fare i conti la realtà: i fuoriusciti non vogliono partecipare alle primarie. Vogliono avere il potere di farle fallire.