Le elezioni possono attendere. Del resto vengono rinviate con qualsiasi scusa. E dire che il referendum sulla riforma costituzionale veniva presentato come l’ultimo atto della legislatura. Sia in caso di vittoria del Sì, con Matteo Renzi smanioso di capitalizzare il successo, che in quello di vittoria del No, per archiviare una fase politica. E invece? Il quadro è chiaro: il voto anticipato è solo un’ipotesi da scongiurare sostenendo che “una campagna elettorale porterebbe instabilità”.
Il paradosso – Certo, il Rottamatore deve trattenere il suo impeto battagliero per il ritorno alle urne. Una strategia che finora ha attirato ancora di più gli strali degli avversari interni. “Renzi, con la sua ossessione di tornare a Palazzo Chigi, rischia di essere un ostacolo per la ricomposizione del centrosinistra”, ha attaccato il ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Un paradosso tutto politico e incomprensibile ai cittadini: la smania elettorale dell’ex presidente del Consiglio si trasforma in una polizza vita per l’attuale Governo. I non renziani del Partito democratico sono disposti a tutto per non ritrovarsi “Matteo” nel ruolo di premier, desideroso di togliersi tutti i sassolini che ha accumulato nelle scarpe durante gli ultimi mesi. Anche da parte di ex sostenitori.
Solo primarie – L’unica competizione elettorale in corso, al di là della Amministrative in fisiologico programma a giugno, è rappresentata dalle primarie del Pd. Ma, pure rispetto al passato, la sfida non è molto appassionante. Tanto che i diretti interessati ammettono che in giro c’è scarso interesse. “La campagna per le primarie è stata troppo sotto traccia e questo è un errore”, ha scandito Orlando, nel ruolo di antagonista di Renzi al congresso dem. “Se andranno a votare meno elettori dell’altra volta per il Pd sarà un segno negativo. Per attirare l’ attenzione potremmo fare più confronti tv, ma per ora non è possibile per indisponibilità di Renzi”, ha aggiunto il Guardasigilli. Anche l’altro competitor, il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano, ha sposato questa tesi: “È importante che tutti gli italiani abbiano il diritto di farsi un’idea chiara su quanto sta accadendo e su come ognuno di noi intende cambiare il partito. Ribadisco dunque, da subito, la mia totale disponibilità al confronto televisivo su qualsiasi rete”. Sembra che in assenza di elezioni vere, nel Pd cerchino di somministrare lo scontro interno per accontentare gli elettori. Ma con un possibile effetto boomerang: con una bassa affluenza tra i dem la voglia di elezioni potrebbe colare ancora di più a picco. Perché significherebbe che il consenso nel Paese è a livelli non esaltanti, tipo quelli indicati dai sondaggi.
Orizzonte 2018 – In un clima di immobilismo radicato, c’è chi accarezza l’idea di far slittare il voto addirittura a maggio 2018, spingendolo oltre quella che è ritenuta la scadenza inevitabile, il mese di febbraio. La spiegazione? Meglio lasciare in mano a Paolo Gentiloni il problema della prossima Legge di Stabilità, che non si annuncia proprio una passeggiata: l’Unione europea ha già suonato la campanella per far capire che la ricreazione è finita. La tentazione del “tirare a campare” si alimenta così settimana dopo settimana. A meno che Renzi, a vittoria delle primarie acquisita, non decida di imprimere l’accelerazione decisiva: chiedere apertamente il passo indietro del premier in carica. Il ritorno alle elezioni, insomma, passa tutto per l’esito del congresso dem: Renzi deve vincere nettamente e, soprattutto, ha bisogno di tanta gente ai gazebo per benedire l’investitura. Del resto l’ex premier aveva già messo nello stesso calderone la leadership del partito e l’approdo a Palazzo Chigi. Per informazioni chiedere a Enrico Letta.