Un’ammissione di colpa, non c’è che dire. Il Governo italiano ha riconosciuto i propri torti nei confronti di sei cittadini per quanto subito nella caserma di Bolzaneto il 21 e 22 luglio 2001, ai margini del G8 di Genova. Questa la ragione per cui il nostro Paese ha deciso di patteggiare: verserà 45 mila euro ciascuno per danni morali e materiali e spese processuali. Lo rende noto la Corte europea dei diritti umani in due decisioni in cui “prende atto della risoluzione amichevole tra le parti” e stabilisce di chiudere questi casi.
Il Governo italiano, secondo quanto reso noto a Strasburgo, ha raggiunto una “risoluzione amichevole” con sei dei 65 cittadini – tra italiani e stranieri – che hanno fatto ricorso alla Corte europea dei diritti umani. Ricorsi in cui si sostiene che lo Stato italiano ha violato il loro diritto a non essere sottoposti a maltrattamenti e tortura e si denuncia l’inefficacia dell’inchiesta penale sui fatti di Bolzaneto. I sei ricorrenti che hanno accettato l’accordo sono Mauro Alfarano, Alessandra Battista, Marco Bistacchia, Anna De Florio, Gabriella Cinzia Grippaudo e Manuela Tangari. Con l’accordo, si legge nelle decisioni della Corte, il governo afferma di aver “riconosciuto i casi di maltrattamenti simili a quelli subiti dagli interessati a Bolzaneto come anche l’assenza di leggi adeguate. E si impegna a adottare tutte le misure necessarie a garantire in futuro il rispetto di quanto stabilito dalla Convenzione europea dei diritti umani, compreso l’obbligo di condurre un’indagine efficace e l’esistenza di sanzioni penali per punire i maltrattamenti e gli atti di tortura”. Inoltre, nell’accordo il governo si impegna anche “a predisporre corsi di formazione specifici sul rispetto dei diritti umani per gli appartenenti alle forze dell’ordine”. E propone di versare ai ricorrenti 45 mila euro ciascuno per danni morali e materiali e per le spese di difesa. In cambio i ricorrenti “rinunciano a ogni altra rivendicazione nei confronti dell’Italia per i fatti all’origine del loro ricorso”.
Con il patteggiamento, però, è evidente che lo Stato italiano preferisce la “via facile”, evitando procedure di infrazione e multe pesanti, per via del fatto che nel nostro ordinamento manca ancora il reato di tortura.