di Vittorio Pezzuto
La nostra pubblica amministrazione è un mostro onnivoro così esteso e ottuso che non conosce nemmeno l’esatto numero dei suoi dipendenti (per comodità si stima all’ingrosso che siano 3 milioni 350mila). Figuriamoci se riesce a quantificare l’ammontare e il costo delle consulenze che distribuisce ai suoi amici e clientes.
I calcoli degli analisti più attendibili (tra questi Daniele Autieri, autore de “Il Saccheggio”, Castelvecchi editore) arrivano alla cifra iperbolica di 456.565 professionisti ai quali lo Stato eroga ogni anno un totale di 2 miliardi di euro. La fonte più ufficiale – quella del Ministero per la Pubblica Amministrazione – si spinge addirittura oltre, stimando il fenomeno a più di mezzo milione di incarichi per un ammontare complessivo di 2,5 miliardi di euro. Cifre per nulla campate in aria, visto che sono state calcolate nell’ambito dell’Operazione Trasparenza avviata nel giugno 2008 dal ministro Renato Brunetta.
In pochi mesi l’economista veneziano aveva infatti operato una sorta di rivoluzione copernicana, pubblicando online una massa impressionante di dati che prima del suo arrivo venivano raccolti in poderosi volumi consultati da pochi iniziati e destinati al macero dopo essere stati ricoperti da una sottile patina di polvere.
La pressione dell’opinione pubblica
Brunetta avrà pure un caratteraccio ma gli va dato atto che con lui Palazzo Vidoni era finalmente diventato la sede di un ministero rilevante. Sul suo sito era tra l’altro possibile acquisire informazioni preziose: tra queste il calcolo esatto dei precari nella Pa (tacitando quanti da mesi sparavano cifre a casaccio sul fenomeno), l’analisi minuziosa del numero e delle caratteristiche delle auto blu così come dei costi sostenuti per il loro utilizzo, il rendiconto mensile dei casi di assenteismo per malattia in tutte le amministrazioni centrali e periferiche nonché il bollettino settimanale dei certificati trasmessi online all’Inps dai medici di famiglia.
La vera svolta è avvenuta però con la pubblicazione delle centinaia di migliaia di consulenze generosamente concesse dalla PA ad altrettanti voraci banchettatori di denaro pubblico. E’ così accaduto che centinaia di articoli della stampa locale rivelassero per la prima volta ai loro lettori i dati che Sindaci e assessori avevano interesse a mantenere riservati ma che per legge erano stati costretti a inserire nel database dell’Anagrafe delle Prestazioni. Gli elenchi pubblicati sul sito di Palazzo Vidoni – suddivisi per comparto o per regione di appartenenza dell’Ente dichiarante – descrivevano infatti l’oggetto e la durata di ciascun incarico, l’importo previsto da corrispondere nonché quello erogato nel periodo preso in considerazione.
Era così aumentata la pressione dell’opinione pubblica sugli amministratori locali, spesso travolti dall’imbarazzo di dover spiegare perché avevano commissionato studi inutili oppure realizzazioni tecniche che i loro dipendenti avrebbero potuto tranquillamente compiere. Si era anche scoperto che, paradosso dei paradossi, il settore pubblico affida consulenze anche ai suoi dipendenti, così distraendoli dalla mansione per la quale sono già retribuiti (oppure c’è qualcuno così ingenuo da credere vi si dedichino durante il week-end?).
Opacità e ritardi
Che cosa è rimasto di questa riforma, attuata in questi anni dal capo Dipartimento della Funzione Pubblica Antonio Naddeo e dallo staff della direttrice generale dei Servizi statistici Francesca Russo? Davvero poco.
L’avvicendamento nel novembre 2011 dell’irruente Brunetta con il compassato consigliere di Stato Filippo Patroni Griffi ha infatti contribuito a stendere una pellicola opaca sull’Operazione Trasparenza. Sul sito del Ministero i dati più recenti sulle consulenze esterne sono relativi al 2011 mentre quelli sugli incarichi ai dipendenti pubblici sono fermi al 2009. Tra l’altro anche con lo stesso Brunetta le informazioni raccolte non potevano dirsi esaustive del fenomeno: all’appello sono infatti sempre mancati i dati di poco meno del 40 per cento delle amministrazioni. E’ pur vero che ogni anno il Dipartimento della Funzione Pubblica ha trasmesso alla Corte dei Conti il loro lungo elenco, affinché verificasse la posizione di ciascuna.
Il comma 15 dell’articolo 53 del decreto legislativo 165/2011 prevede infatti che quanti abbiano omesso di trasmettere online i dati sulle consulenze non possano conferire nuovi incarichi nell’anno successivo. Ma si tratta di grida di manzoniana memoria: la Corte dei Conti sonnecchia e non è mai intervenuta, le amministrazioni pubbliche hanno ripreso a confidare nell’ignoranza dei cittadini e intanto Pantalone è costretto a pagare tasse sempre più alte per soddisfare l’appetito di quella bestia sempre affamata che è lo Stato.