È arrivato il momento di fare la guerriglia, perché il secondo posto alle primarie può valere la vittoria al congresso del Pd. Nel giorno della consegna delle firme per le candidature al congresso del Pd, il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, hanno cominciato a punzecchiarsi: in ballo c’è la carica di segretario. Certo, il bersaglio grosso Matteo Renzi da indebolire per tenerlo al di sotto della soglia del 50%+1 dei voti. Tanto che il governatore pugliese, dopo aver combattuto strenuamente per il rinvio del congresso, ha già respinto l’idea di far slittare il congresso a causa dell’inchiesta Consip. “Dire che il Pd non è in grado di fare il congresso corrisponderebbe a un ulteriore fallimento. Io non ci sto al rinvio e non mi faccio da parte”, ha scandito l’ex sindaco di Bari. E ha affondato il colpo. “Renzi chiede di aspettare le sentenze, ma non ha dato a Ignazio Marino lo stesso tempo”. Orlando, invece, ha puntato l’indice contro la gestione del partito troppo solitaria fatta dal Rottamatore: “Si deve ricostruire un rapporto con le altre forze politiche e mi auguro che il congresso possa essere l’occasione per mandare un messaggio di disponibilità agli altri partiti”, ha dichiarato il ministro.
Doppio attacco – Emiliano, comunque, non ha lesinato l’affondo al Guardasigilli: “La differenza tra me e Orlando è che lui è stato un ministro del Governo Renzi, mentre io sono stato un sostenitore di Renzi ma poi, già prima di diventare governatore, ho smesso di apprezzare il suo operato”. E le parole sono arrivate dopo che Emiliano ha adombrato un possibile conflitto di interessi del ministro sull’inchiesta Consip, visto il ruolo istituzionale che ricopre. Ma Orlando ha bollato l’accusa come “un paradosso”. “Mi troverei in conflitto di interessi ogni volta che c’è un indagato nel mio partito”, ha evidenziato il ministro. Sia il Guardasigilli che il governatore pugliese, dati alla mano, sono consapevoli di avere qualche difficoltà a conquistare il successo al primo turno, quando serve la maggioranza assoluta dei consensi. L’unica strada è quella di ottenere l’incarico, aggiudicandosi l’eventuale ballottaggio che si deciderebbe con il voto dei delegati eletti nell’assemblea nazionale dem.