L’importante non è vincere e nemmeno partecipare. Ma impedire all’avversario di trionfare. Una delle specialità della sinistra italiana è pronta per essere servita al tavolo del congresso del Pd. Ma questa volta non è la solita strategia della sgambetto fine a se stesso per bruciare un leader. Tutt’altro. Perché se Matteo Renzi non dovesse raggiungere la maggioranza assoluta dei voti alle primarie, rischierebbe la clamorosa sconfitta. Il motivo? Il regolamento prevede che, in caso di mancanza di un vincitore il 30 aprile, sia l’assemblea convocata per il 7 maggio a indicare il nuovo segretario del partito. Insomma, la palla passerebbe ai delegati per il ballottaggio tra i primi due candidati. Con la comoda occasione dello scrutinio segreto. Così il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, potrebbero trovare un’intesa – a maggior ragione nel segreto dell’urna – se il Guardasigilli dovesse risultare secondo dal voto popolare. La conseguenza sarebbe chiara: mettere in minoranza l’ex presidente del Consiglio, infliggendo il colpo finale alle sue ambizioni. Del resto pure in caso di vittoria “monca”, cioè sotto il 50% dei consensi, Renzi dovrebbe comunque trovare un accordo con il Guardasigilli per restare alla guida del Pd, visto che è da escludere un dialogo con il governatore pugliese. I toni dei primi giorni di campagna elettorale non sono proprio concilianti.
Fragili certezze – Renzi, al momento, confida in un agevole successo. I primi sondaggi lo danno sopra il 60% dei voti, con un margine immenso sugli avversari, che a malapena sfiorano il 20%. Ma dalle parti renziane la prudenza non è mai abbastanza: nelle prossime settimane, il fortino di Pontassieve sarà messo sotto assedio (vedi pagine 4-5). In questo senso l’ex premier ha molto da perdere e ben poco da guadagnare in termini di voti. I numeri confortanti dei sondaggi assumono perciò la forma di certezze molto fragili.
Serbatoio scissionista – C’è poi un altro fattore da considerare: cosa faranno gli elettori bersaniani? La rottura è stata portata a compimento nelle Aule parlamentari, ma questo non vieta ai sostenitori degli scissionisti di partecipare alle primarie, puntando su un nome di raccordo come quello di Orlando. Emiliano, infatti, è stato etichettato come inaffidabile dalla cerchia vicina a Pier Luigi Bersani. L’ipotesi di un ritorno alla base di Roberto Speranza e compagni è stata messa sul tavolo, seppure in maniera indiretta, da Guglielmo Epifani. “Non è un addio, ma un arrivederci”, ha affermato l’ex segretario della Cgil, in riferimento alla fuoriuscita dai dem. Con l’eventuale approdo al vertice del partito di Orlando, ex Ds e con una storia postcomunista, la separazione potrebbe rivelarsi molto breve. Non a caso molti esponenti della minoranza bersaniana hanno deciso di non abbracciare la scissione: preferiscono vedere prima cosa si muove sotto il cielo del Pd, facendo campagna elettorale per i principali antagonisti di Renzi.
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