Il gettito per accise nel nostro paese è aumentato di 5 miliardi tra il 2011 e il 2016, una vera e propria stangata nascosta tra i consumi di famiglie e cittadini. A renderlo noto è una ricerca effettuata dal Centro Studi ImpresaLavoro .
Le accise su prodotti energetici, loro derivati e prodotti analoghi garantivano alle casse dello Stato 20,4 miliardi nel 2011. Gli aumenti successivi hanno fatto crescere questa cifra del 24,7% in soli 5 anni portando il gettito del 2016 a poco più di 25 miliardi di euro, una cifra sostanzialmente stabile negli ultimi anni (25,6 miliardi nel 2015; 26,2 miliardi nel 2014; 24,3 miliardi nel 2013). Numeri che dovrebbero far riflettere e convincere il governo a non inasprire ulteriormente il prelievo statale su questo comparto nel tentativo di corrispondere alle richieste della Commissione Europea sull’equilibrio della nostra finanza pubblica.
Il prezzo della nostra benzina è già oggi il terzo più caro d’Europa. Con 1,5437 euro al litro, il costo del nostro carburante è del 11,52% più alto di quello della media europea: il pieno in Italia costa il 9,27% in più rispetto alla Francia e il 10,50% in più rispetto alla Germania. Peggio di noi in Europa fanno soltanto Olanda e Grecia con un costo al litro rispettivamente di 1,5720 e 1,5460 euro.
Il prezzo pagato dai consumatori finali risente fortemente della componente relativa a tasse e accise. Nel nostro Paese il prelievo statale rappresenta il 65,22% del prezzo finale contro il 62,34% della media europea e il 54,45% della Spagna, il 62,82% della Germania e il 63,34% della Francia.
Attualmente incidono sul prezzo del carburante ben 17 diverse accise, deliberate dal 1935 ad oggi. Paghiamo con la benzina le voci di spesa più disparate: dalla Guerra di Etiopia all’acquisto di autobus ecologici; dal Rinnovo del contratto degli autoferrotranvieri del 2004 all’emergenza migranti causata dalla crisi libica. Senza dimenticare che attraverso l’aumento delle accise si sono affrontate le principali emergenze italiane: dal più recente terremoto in Emilia (2012) fino ai terremoti in Friuli (1976) e Irpinia (1980) o alle alluvioni di Firenze (1966) e Liguria (2011). In molti casi si tratta chiaramente di voci di emergenze concluse ma su cui comunque continuiamo a versare allo stato importanti risorse ogni qualvolta facciamo il pieno di benzina alla nostra auto.
«Il ricorso all’aumento delle accise sui carburanti – commenta l’imprenditore Massimo Blasoni, presidente del Centro Studi ImpresaLavoro – è un sempreverde italiano. Non c’è Governo o Ministro dell’economia che non sia ricorso a questo espediente per fare cassa. Un prelievo straordinario e giustificato spesso da emergenze contingenti che finisce per trasformarsi in una tassa perenne, silenziosa e per questo meno dibattuta ma che incide sui bilanci delle famiglie italiane indipendentemente dal loro reddito e, quindi, con poca equità».