Uno stanziamento di 50 milioni di euro per i punti ricarica delle auto elettriche. Ma, conti alla mano, sono state attivate convenzioni per 4 milioni e mezzo. Meno di un decimo. Il motivo? La scarsa attenzione degli enti locali, a partire dalle Regioni, su questo fronte. Ma la colpa non è solo delle amministrazioni regionali. Il problema principale è la burocrazia che rallenta qualsiasi entusiasmo in questa direzione. Insomma, i soldi sono stati messi sul piatto dal Governo, ma per ottenerli bisogna seguire strade troppo tortuose. In questo contesto di freni e lungaggini, i privati non colgono uno spazio per investire sul settore. Quindi non spingono.
Il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, guidato da Graziano Delrio, ha ammesso i ritardi e le lentezze burocratiche: “Bisogna recuperare la capacità di impegnare tutte le risorse stanziate, ponendo in essere ogni iniziativa per realizzare l’obiettivo, anche semplificando le procedure”, si legge nella risposta all’interrogazione depositata da Ermete Realacci, Commissione Ambiente e Lavori Pubblici della Camera. Un gap tecnologico, che si riverbera sull’emergenza inquinamento. “Promuovere l’uso di veicoli elettrici è strategico per ridurre le emissioni inquinanti”, ha evidenziato Realacci. “Lo scarso utilizzo dei mezzi elettrici in Italia è dovuto anche all’inadeguatezza dell’infrastruttura di ricarica”, aggiunge il deputato dem. Il censimento ministeriale parla infatti di una situazione critica: ci sono 1700 punti di ricarica pubblici lento/fast, a cui se ne dovrebbero aggiungere solo 700 nel 2017.
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