di Nicoletta Appignani
Un bambino di quasi 2 anni portato via ai genitori naturali e momentaneamente affidato a una famiglia. All’improvviso, inaspettata, la tragedia. Il piccolo annega in una piscina gonfiabile. E ora la madre chiede che venga fatta giustizia, che le indagini vengano riaperte. “Mi hanno portato via un figlio per restituirmelo morto”. Sono parole ancora colme di disperazione quelle di Francesca, (la chiameremo così per proteggerne l’identità), la mamma del bambino. “La domanda alla quale devono rispondere i magistrati è semplice: come ha fatto mio figlio, che non aveva neanche 2 anni, ad arrampicarsi sulla piscina e ad annegare senza che nessuno se ne accorgesse?”.
Una storia agghiacciante che arriva dalla provincia di Cremona, e che torna a far discutere su certi meccanismi automatici che scattano nella legislazione sui minori.
Affidamenti senza ragioni valide
Dopo il video che riprendeva i due bambini di Battipaglia affidati ai servizi sociali, filmati dalla madre mentre si disperano e chiedono che fine faranno, un’altra vicenda porta quindi l’attenzione sul delicato tema dell’affidamento dei minori. Norme nate per favorire i bambini, che rischiano invece di danneggiarli. Come è accaduto a Pietro Guccio, il padre a cui vennero portati via tre figli per un pugno dato sul tavolo durante una discussione con la figlia adolescente, che voleva marinare la scuola. Dopo anni finalmente la famiglia è riuscita a ricongiungersi e adesso il suo legale, l’avvocato Claudio De Filippi, ha chiesto al Ministero della Giustizia un rimborso di 3 milioni di euro. Ma non solo. C’è anche l’incredibile vicenda dei fratellini di Basiglio, sottratti ai genitori per un disegno osè che non avevano mai fatto. Eppure furono costretti a stare lontani da casa per oltre 2 mesi, separati dai genitori e messi all’indice con tutta la famiglia da un’intera comunità.
Dalla padella alla brace
Nulla a confronto della storia della comunità il Forteto, in Toscana, tornata d’attualità proprio nei giorni scorsi in seguito a un servizio della trasmissione Le iene. È stato il gup del tribunale di Firenze a rinviare a giudizio il 12 aprile scorso ben 23 persone, fra cui il fondatore della comunità, con la pesantissima accusa di abusi sessuali su minori. Il problema è che proprio al Forteto venivano affidati giovani con passati problematici, cadendo in pratica dalla padella nella brace. L’inchiesta della magistratura naturalmente è ancora in corso e per tutti vale la presunzione di innocenza, ma le testimonianze dei ragazzi quanto meno sembrano sollevare dubbi gravissimi sulla gestione dei giovani affidati alla struttura. Perplessità che, in presenza di un rinvio a giudizio, non hanno però portato quanto meno a un’interruzione dell’attività del Forteto, come poi documentato. Anche se per molto meno un bimbo viene tolto ai genitori. E purtroppo, sempre più spesso, a causa di errori. Perchè se a una segnalazione non seguono indagini approfondite, un semplice malinteso, come fu nel caso di Pietro Guccio, può distruggere una famiglia.
Ma non è l’unico problema. Lo spiega Matteo Santini, consigliere dell’Ordine degli avvocati di Roma e direttore scientifico del Centro Studi e Ricerche Diritto della Famiglia e dei Minori: “Negli ultimi tempi ho notato un atteggiamento quasi punitivo nei confronti dei genitori separati. Quando gli ex coniugi non comunicano tra loro o non si mettono d’accordo sulla gestione dei figli, questo sembra presuppore una non idoneità ad essere genitori”.
Un motivo, insomma, ben lontano dalle ragioni che dovrebbero essere alle basi di un affidamento.
Le deleghe
Ma i tribunali prevedono anche altri percorsi. Alla tendenza ad assegnare i minori ad altre famiglie quando non è necessario, si contrappone, infatti, un nuovo fenomeno in crescita: quello di far prendere decisioni che riguardano lo sviluppo o la normale vita di società del bimbo agli assistenti sociali o ai giudici.
Un bambino quindi, che fino al giorno prima chiedeva il permesso alla madre per poter svolgere uno sport, si ritrova improvvisamente a dover attendere che venga inoltrata formale richiesta al tribunale. Oppure a un assistente sociale, una persona che, nella maggior parte dei casi, di lui sa poco o niente. “Si tratta di avvenimenti che forse possono apparire meno traumatici dell’affidamento a terze persone o a strutture di accoglienza – conclude Santini – ma che alla fine possono risultare ugualmente sconvolgenti”.