C’è poco da girarci intorno. Il pronunciamento della Corte costituzionale sull’Italicum, atteso per oggi o domani al massimo, ci darà una chiara indicazione sulla data delle prossime elezioni: già in primavera, come chiedono a gran voce Lega Nord e 5 Stelle, oppure direttamente nel 2018, cioè quando la Legislatura andrà a scadenza naturale. Il che vorrebbe dire trovarsi a fare i conti con un Parlamento e un Governo che tirano a campare per un altro anno. Lo scenario definitivo sarà dettato dal tipo di sentenza che la Consulta partorirà. Sarà “auto applicativa” – come quella sul Porcellum – oppure i giudici della Corte si limiteranno a dare delle indicazioni al Parlamento, che a quel punto sarà necessariamente chiamato ad intervenire? La differenza è abissale. Nel primo caso, infatti, i partiti si ritroverebbero fra le mani una legge che potrebbe già essere utilizzata per tornare presto alle urne. “Se escludiamo l’ipotesi che la Corte rigetti i ricorsi perché inammissibili da domani (oggi, ndr) avremo una nuova legge elettorale pronta per l’uso”, una legge “finalmente costituzionale perché passata attraverso il filtro di legalità della Consulta: il ‘Legalicum’”, ha scritto ieri Beppe Grillo sul suo blog. La bocciatura di alcuni aspetti, in primis il ballottaggio tra i due partiti più votati se nessuno supera il 40% al primo turno e il premio di maggioranza, darebbero all’Italicum le sembianze del cosiddetto Consultellum, la legge proporzionale in vigore a Palazzo Madama dopo la stroncatura del Porcellum da parte della stessa Corte. A tifare in tal senso, oltre ai grillini, ci sono Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia) e la Lega. “La Consulta non perda tempo – ha attaccato ieri Matteo Salvini – e consegni all’Italia una decisione chiara per andare a votare subito in primavera”. Anche Matteo Renzi scalpita: l’ex premier vorrebbe votare entro giugno per giocarsi le sue carte, ma è stretto nella morsa della minoranza Pd capeggiata da Roberto Speranza che frena chiedendo un confronto ampio in Parlamento. Tutt’altro scenario si aprirebbe invece se la Consulta decidesse di passare la palla alle Camere. In questo caso, come facilmente intuibile, i tempi per tornare a votare si dilaterebbero.
Tempus fugit – “Aspettiamo con serenità il giudizio della Corte sull’Italicum, per poi, una volta lette le motivazioni, avviare il lavoro parlamentare”, ha spiegato ieri il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Renato Brunetta, facendo capire che gli azzurri non hanno fretta. Berlusconi, infatti, continua a insistere per una legge proporzionale mentre il cavallo di battaglia di Renzi resta il ritorno al Mattarellum, il sistema elettorale misto a prevalenza maggioritario che porta il nome del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Dal Quirinale, proprio l’ex giudice costituzionale guarderà con occhio attento quanto succederà fra oggi e domani. L’orizzonte tracciato da Mattarella è chiaro: non si potrà tornare a votare fino a quando le leggi di Camera e Senato non saranno rese “omogenee”. Se però la Corte dovesse lanciare la palla nel campo del Parlamento il rischio è quello di una melina infinita, con il “partito del vitalizio” sempre lì in agguato per arrivare al 2018. Ecco perché, anche se non può dirlo pubblicamente, Mattarella spera che a sbrogliare la matassa siano proprio i suoi ex colleghi.
Twitter: @GiorgioVelardi