I tempi biblici dei soccorsi all’Hotel Rigopiano di Farindola, in Abruzzo, hanno mostrato chiaramente l’impreparazione del nostro Paese nell’affrontare questo tipo di emergenze. Il mix, senza dubbio eccezionale, di maltempo e sisma ha messo a nudo, insomma, le gravi fragilità della Penisola. Ma anche una grande assenza, quella di una Protezione civile degna di questo nome. Perché il vero nodo da affrontare riguarda proprio questa struttura centrale dello Stato che deve avere capacità e mezzi per poter intervenire. Non serve la solita caccia al capro espiatorio, sport nazionale nel quale primeggiamo – le singole responsabilità, se ci sono, saranno accertate dalla magistratura – ciò che serve è un profondo esame di coscienza da parte della classe dirigente. Di oggi, ma anche di ieri. Perché, parliamoci chiaro, la riforma della Protezione civile, risale al 2012 e, quindi, al governo dei tecnici capitanati da Mario Monti, ma pure il governo Renzi ha la sua buona dose di colpe. La verità è che l’Italia non conosce le mezze misure e, quindi, spesso e volentieri passa da un estremo all’altro. Incapace di comprendere quanto invece in medio stat virtus.
Il passo del gambero – E così siamo passati da un Dipartimento che spaziava dalle emergenze ai Grandi Eventi a una macchina operativa profondamente ridimensionata e sotto scacco della burocrazia. Quasi da far rimpiangere proprio quel modello Bertolaso, a lungo criticato. Il che suona paradossale. Almeno quanto il fatto stesso che il Paese delle emergenze per antonomasia si sia deliberatamente privato del potere d’intervento della Protezione civile. Tra l’altro nella consapevolezza della politica stessa: in Parlamento, infatti, una riforma del Dipartimento (si tratta di una legge delega, ndr) c’è, anche se è ferma al Senato da settembre del 2015.
Oltre al danno – Da principio fu la Protezione civile targata Guido Bertolaso che, tra mille difetti, in primis controlli troppo laschi e procedure operative spesso opache, contava su una catena di comando chiara e immediata grazie anche al filo diretto col presidente del Consiglio. Poi arrivò la cura dimagrante di Monti che ha ridotto le funzioni del Dipartimento principalmente alla previsione e prevenzione dei rischi e al soccorso e superamento delle emergenze. Negando alla Protezione civile pure la possibilità di agire in deroga. Come se non bastasse, infine, a rendere sempre più inceppata la macchina c’è anche il rischio di sovrapposizioni tra il capo del Dipartimento, Fabrizio Curcio, e il commissario per la Ricostruzione, Vasco Errani, voluto dal Governo Renzi. Di nomine insomma non ne mancano se si aggiunge pure quella sempre renziana di Erasmo D’Angelis a capo della struttura di missione di Palazzo Chigi contro il dissesto idrogeologico. Peccato che ciò che serva al Paese sia altro: una struttura snella e, quindi, anche più facile da controllare, ma in grado di agire con tempestività. Quella prontezza e celerità che oggi in centro Italia, forse, ci avrebbe risparmiato i rimpalli di responsabilità su allarmi e competenze tra Comuni senza soldi e Province semi-abolite.
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