di Gaetano Pedullà
Il governo Letta si è presentato per quello che è: amico della destra e non nemico della sinistra, simpatico al centro e ammiccante ai cittadini che vedono i loro guai nella casta dei politici. E’ l’inciucio, bellezza! Dunque stop all’Imu (un punto a Berlusconi ) e promessa di attenzione ai problemi del lavoro (i sindacati godono), tutto resterà sobrio (Monti è felice) e basta doppio stipendio ai ministri parlamentari (si risparmiano due lire, ma fa tanto effetto e la piazza è accontentata). Come cambiare il Paese però è tutta un’altra cosa. E di cambiamenti radicali – mica pinzillacchere – avremmo veramente bisogno. Nel suo discorso Letta ha messo in mostra tante buone intenzioni.
E’ però la natura stessa di un compromesso tanto fragile tra forze politiche lontanissime a non promettere niente di buono. Quando si metterà mano ai singoli provvedimenti sarà battaglia strada per strada. L’unica speranza vera è che l’Europa ci soccorra allentando i vincoli di bilancio. Solo così, con un tratto di penna, potranno saltar fuori le risorse che servono per non dover pagare con la tasca destra (nuove tasse) quello che abbiamo risparmiato nella tasca sinistra (Imu, esodati, ecc.). Le Borse ci credono (ieri Piazza Affari è stata la migliore d’Europa) e torna la fiducia anche sul nostro debito pubblico (sempre ieri boom di richieste e tassi in calo per l’asta dei Bot). Ma la situazione resta gravissima e senza riforme strutturali si può fare molto poco. L’euforia di questo governo nato dopo 63 giorni di doglie non deve farci perdere il senso della realtà. Gli spari di sabato in piazza Colonna ci dicono tutto. Ci dicono che la gente è esasperata e a pancia vuota è facile commettere follie. Così come ci dicono che è troppo facile spostare l’attenzione dai problemi veri. Il dibattito sull’aggressore abbrutito dal vizio del gioco (e questo giornale proprio sabato ha pubblicato un’inchiesta di due pagine sulla gravita del fenomeno) serve a spostare il tiro sulla malattia del gioco e non sul malato che è l’Italia. Vogliamo aprire gli occhi, o no?