Sembra senza fine la maxi indagine scaturita in Turchia dal golpe fallito lo scorso 15 luglio. Il ministero della Pubblica Istruzione, infatti, ha annunciato la sospensione di altri 631 accademici appartenenti a università di tutto il Paese. L’ accusa, per tutti, è di avere legami con Fetullah Gulen, imam e magnate autoesiliatosi negli Usa nel 1999, ritenuto a capo dell’organizzazione che si ritiene abbia orchestrato il golpe, poi fallito, lo scorso 15 luglio.
Ma non sono le uniche epurazioni ordinate da Erdogan. In tutto, infatti, parliamo di oltre seimila licenziamenti. E, come se non bastasse, le autorità hanno anche ordinato la chiusura di 80 associazioni in seguito allo stato d’emergenza imposto e oltre 100mila persone sono state già sospese o licenziate e decine media sono stati chiusi per aver collegamenti con i mandati del colpo di stato. Nell’ultimo decreto del governo pubblicato ieri sono stati licenziati 2.687 poliziotti, 1.699 dipendenti pubblici sono stati rimossi dai loro incarichi al ministero della Giustizia, 838 responsabili del servizio sanitario sono stati sollevati e a questi si aggiungono centinaia di dipendenti di altri ministeri e, come detto, 631 accademici e otto membri del Consiglio di stato che sono stati allontanati.
Una situazione, dunque, che è giunta alla sua fase estrema, anche considerando l’atroce attentato di Natale al Reina di Istanbul. Ma le ultime epurazioni potrebbero essere legate anche agli ultimi attentati. Secondo un report governativo, infatti, ci sarebbero legami tra Isis, Gulen e il Pkk. “Un insieme di eventi, informazioni di intelligence, conversazioni radio intercettate e materiale sequestrato suggeriscono che i membri di Feto (l’organizzazione guidata da Fetullah Gulen) coinvolti nel colpo di stato potrebbero muoversi con l’aiuto di Daesh (acronimo arabo per Isis) e dei membri del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) per evitare le forze di sicurezza”. È quanto emerge in un report di 28 pagine realizzato dal Comando generale della Gendarmeria turca e che è stato consegnato ieri al Parlamento, scrive il quotidiano Yeni Sakaf. Secondo il rapporto i membri dell’organizzazione gulenista, in seguito a questi contatti e insieme ai gruppi terroristici potrebbero lanciare o aver lanciato attacchi kamikaze, omicidi e attacchi armati in Turchia per creare caos e conflitto interno. Nelle 28 pagine si parla anche di una soffiata ricevuta prima del golpe fallito e arrivata da Sirnak, nel sudest del Paese, secondo cui tre turchi nel nord dell’Iraq avevano saputo da due membri del Pkk che gli Usa e la Nato avevano promesso ai ribelli curdi che il presidente turco Recep Tayyip Erdogan sarebbe stato rovesciato nell’inverno del 2016 o sarebbe stato costretto a dimettersi per “una sollevazione più forte di quella di Gezi”, lanciata da un gruppo che avrebbe dovuto mettere insieme Pkk, gulenisti e altri gruppi. Il report sottolinea anche un aumento dei cyberattacchi dagli Usa dopo il 15 luglio: “Un totale di 97” attacchi hacker da indirizzi IP statunitensi erano stati registrati prima del golpe e questo numero è salito a “a 4.437” attacchi nei tre mesi successivi. La Turchia è stata scossa nell’ultimo anno, e anche all’inizio del 2017, da attentati molto sanguinosi, in parte rivendicati dal Pkk e in parte dall’Isis, e dal fallito colpo di stato dello scorso 15 luglio che Ankara ritiene sia stato orchestrato dal gruppo vicino all’ex imam Fetullah Gulen.