Nel segno della continuità col suo predecessore, Paolo Gentiloni ieri ha fatto il suo esordio a Bruxelles per il suo primo vertice dei capi di Stato e di governo europei. Nessuna minaccia di veti, naturalmente. Non è nello stile del neo premier più portato alla mediazione e al confronto. Sui contenuti e, in particolare, sull’immigrazione, però, la linea non è cambiata. Già nella mattinata, infatti, il presidente del Consiglio, lasciando la riunione dei socialisti che ha preceduto il Consiglio europeo, aveva sottolineato: “La questione principale, tra le tante, sarà quella dell’immigrazione. E da questo punto di vista l’Italia è molto esigente perché non siamo ancora soddisfatti della discussione sul regolamento di Dublino che fissa le regole sull’accoglienza dei rifugiati”. E da questa posizione non si è discostato neanche durante i lavori a palazzo Justus Lipsius (sede del Consiglio). La matassa sull’immigrazione è ancora difficile da sbrogliare, viste le divergenze di posizione dei diversi Paesi europei. Una distanza di vedute sulla quale il bandolo è complicato da trovare dal momento che, giustamente, il Belpaese rigetta la proposta avanzata dalla presidenza di turno slovacca che a una ripartizione obbligatoria dei 160mila migranti sbarcati sulle coste italiane e greche continua a preferirne una di carattere volontario.
Linea ferma – Ma Gentiloni ha tenuto il punto e, alla fine, qualche spiraglio è emerso. Per lo meno è stata fissata un dead line per la riforma del regolamento di Dublino, ad oggi fermo nell’addebitare le responsabilità dell’accoglienza dei rifugiati ai soli paesi di primo arrivo. “Abbiamo lanciato un programma per fronteggiare insieme i fenomeni migratori dall’Africa, l’abbiamo lanciato a gennaio e ci aspettiamo risultati concreti”, aveva rimarcata già in mattinata. In questo solco, il neo inquilino di Palazzo Chigi porta a casa un accordo firmato insieme a Angela Merkel, Mariano Rajoy e François Hollande con il Niger proprio per la gestione dei flussi verso la Libia, defindendolo “un passo piccolo ma significativo”, convinto del fatto che proprio il Niger sia “l’anticamera dei flussi verso la Libia”.
Sponda – Non è stato di poco conto, però, va detto, il supporto alla strategia di Gentiloni da parte dell’Alto Rappresentate per la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, Federica Mogherini. Questo sì che rappresenta un elemento di discontinuità rispetto all’era Renzi. Con il quale Miss Pesc aveva avuto più di qualche frizione. Proprio Mogherini, infatti, ha presentato i risultati dei primi “migration compact”, gli accordi di cooperazione con l’Africa che hanno impressionato non poco l’intero consesso dei leader. A cominciare dai dati del Niger che, dal maggio scorso a oggi, ha visto ridursi il flusso dei migranti irregolari da 72.000 a 1.500 persone. Ma il nodo immigrazione non è stato l’unico all’ordine del giorno del vertice. Altri piatti forti sono stati Russia e Turchia. Su entrambi i fronti il premier ha seguito le orme del governo Renzi. Del quale, d’altronde, è stato il ministro degli Esteri. Nessuna intransigenza o atteggiamenti di chiusura totale da parte sua, dunque, sui temi del rinnovo delle sanzioni economiche europee contro la Russia per l’annessione della Crimea e la destabilizzazione del Donbass. Così come sulla linea di dialogo da tenere con la Turchia. Di qui, quindi, l’ok al rinnovo delle misure contro Mosca per sei mesi, proposto da Francia e Germania, e non per un anno come chiesto invece la Polonia. In sintonia, tra l’altro, con le parole di Romano Prodi. Che proprio ieri, in un’intervista a San Marino Rtv, aveva sottolineato come “le sanzioni abbiano rafforzato Putin perché si è colpita ‘Madre Russia’”.