Nemmeno il tempo di prestare il giuramento al Quirinale e chiedere la fiducia in Parlamento, che Paolo Gentiloni è subito finito sotto assedio. Un accerchiamento politico in piena regola, che Matteo Renzi – nonostante la conclamata antipatia delle opposizioni – non aveva mai vissuto. Eppure le forzature non sono mancate nei mille giorni del Rottamatore a Palazzo Chigi, tra votazioni notturne sulla riforma costituzionale e questione di fiducia posta sull’Italicum. Nessuno, però, aveva pensato di fare le barricate convocando grandi manifestazioni di piazza per “mandarlo a casa”. C’era stato solo qualche sporadico raduno per contestare il premier, cercando di galvanizzare i propri sostenitori. Invece a poche ore dall’insediamento del nuovo (almeno sulla carta) Esecutivo sono state annunciate una serie di iniziative con un unico scopo: chiedere all’inquilino di Palazzo Chigi di sloggiare il prima possibile per tornare al voto.
Tutti in piazza – Certo, Gentiloni ha ceduto su tutta la linea alle richieste del partito, cioè di Renzi, soprattutto sulla lista dei ministri consegnata al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. In questo modo è andato a cercarsi le rogne, fornendo molte ragioni di protesta agli avversari. Ma d’altra parte l’ex numero uno della Farnesina ha tentato di usare toni ecumenici, facendo più volte appello alla “responsabilità”: non solo quella della maggioranza, ma anche quella delle opposizioni. Il tentativo di fare breccia è miseramente naufragato. Lega e Movimento 5 Stelle sentono l’odore di elezioni, da cui possono uscire rafforzate: almeno è quel che si pensa dopo la straripante vittoria del No al referendum. Nel caso dei pentastellati c’è addirittura la possibilità di conquistare la vittoria, espugnando Palazzo Chigi. Quindi ogni formalità istituzionale è stata accantonata. Matteo Salvini ha immediatamente lanciato una sfida tutta muscolare, annunciando la mobilitazione in molte piazze italiane nel prossimo fine settimana. Una prova di forza necessaria anche per dare un segnale agli alleati di Centrodestra, in primis Forza Italia, intenzionati a interloquire con il Governo, pur restando all’opposizione.
Protesta di pancia – Tuttavia, ancora più forte è stato il cambio di passo del Movimento 5 Stelle. Beppe Grillo ha promesso un impegno costante nelle piazze vagheggiando “l’abbandono” delle aule parlamentari. “Da domani tutti i nostri 140 parlamentari usciranno da questo parlamento finto e antidemocratico e usciremo nelle piazze”, ha attaccato il comico. Difficilmente è immaginabile una diserzione organizzata dei lavori di Camera e Senato. Ma, al di là delle provocazioni, il senso è quello di un ritorno alle origini, ossia alla volontà di parlare alla pancia dell’elettorato senza troppi sofismi istituzionali. E lo stesso Grillo non ha fatto mistero della strategia nelle scorse settimane: al referendum ha chiesto un voto “di pancia”. Sullo sfondo si staglia una data-chiave per i 5 Stelle: il 24 gennaio, giorno in cui la Corte costituzionale emetterà il proprio verdetto sull’Italicum.
Nel fortino – A pagare il conto del fermento delle opposizioni è Gentiloni, costretto a rinchiudersi in un fortino per non essere travolto, sapendo di essere sopportato come una “parentesi necessaria” dallo stesso Renzi. Probabilmente il nuovo presidente del Consiglio non si aspettava un’accoglienza del genere, pur immaginando che nessuno gli avrebbe steso tappeti rossi al suo ingresso a Palazzo Chigi. Ma la partenza in salita fa propendere per una durata breve dell’esecutivo. Perché con Lega e 5 Stelle sulle barricate, è difficile tenere tranquillo il clima sociale.