Dopo l’incontro informale di oltre un’ora, ieri mattina, al Quirinale, in serata è arrivato anche quello ufficiale. Matteo Renzi, infatti, prima ha presieduto un Consiglio dei ministri lampo (solo 20 minuti circa) per ufficializzare le sue dimissioni e poi è tornato sul Colle più alto. Ma per intrattenersi solo mezz’ora a colloquio con il presidente della Repubblica. Alla fine, tra la determinazione del premier a mollare immediatamente gli ormeggi, dimettendosi da Presidente del Consiglio, e la linea più cauta, di responsabilità, suggerita in qualche modo da Sergio Mattarella, ha prevalso la seconda.
E così, davanti ai ministri, Renzi ha confermato l’addio, ma con una formalizzazione delle dimissioni solo dopo l’approvazione della manovra: “Lo faccio per senso di responsabilità – avrebbe detto il premier – e per evitare l’esercizio provvisorio”.
Più miti consigli – Le parole di Mattarella, quindi, hanno colpito nel segno. Da subito per il Capo dello Stato la priorità è stata quella di evitare una crisi al buio. Di qui prima le parole di incoraggiamento – “L’alta affluenza al voto è la testimonianza di una democrazia solida, di un paese appassionato, capace di partecipazione attiva” – e poi la moral suasion, rimarcando “impegni e scadenze di cui le istituzioni dovranno assicurare in ogni caso il rispetto, garantendo risposte all’altezza dei problemi del momento”. Una di queste inderogabili scadenze è rappresentata proprio dalla Legge di Bilancio, ingestibile da un Governo dimissionario.
Se l’ipotesi di un secondo mandato a Renzi è apparsa subito come una strada non percorribile, anche alla luce del discorso a caldo pronunciato dal premier stesso dopo l’esito del referendum – “Volevo tagliare poltrone e non ce l’ho fatto. La poltrona che salta è la mia” – l’exit strategy è diventata il congelamento delle dimissioni, almeno fino all’approvazione della manovra. A questo punto, dunque, si punta su un via libera in tempi record della legge di Bilancio. forse già in settimana, con un paio di giorni serrati di votazioni al Senato. E, quindi, lasciando il testo così com’è arrivato dalla Camera.
Scelta obbligata – D’altronde, per l’inquilino di Palazzo Chigi, la scelta di chiudere in fretta, oltre che dettata da una sua precisa volontà (la stessa seguita anche all’indomani della sua prima sconfitta alle primarie) è ormai obbligata anche dalla pressione delle opposizioni. Movimento Cinque stelle e Lega in testa che vedono una sola strada: le elezioni. Seppure un appuntamento con le urne rimanga vincolato alla legge elettorale: sull’Italicum (legge valida solo per la Camera) infatti pende il pronunciamento della Consulta.
Le dimisisoni ‘a rilascio lento’, comunque, hanno fatto discutere. Sinistra italiana, per esempio, ha definito “un errore immaginare di chiudere in modo affrettato l’iter parlamentare della legge di Bilancio”. Ma rimostranze sono arrivate pure dai capigruppo azzurri di Camera e Senato, Renato Brunetta e Paolo Romani: “Le strane ipotesi su un possibile congelamento della crisi del Governo Renzi, con l’approvazione accelerata della legge di Bilancio grazie addirittura a cosiddette ‘fiducie tecniche’, sono del tutto impraticabili”.