Domenica si va in campo, anzi, alle urne. Gli italiani saranno chiamati a votare sulla riforma costituzionale più ampia e complessa nella storia della Repubblica, visto che il ddl Boschi prevede la modifica di oltre 40 articoli della Carta. In questi mesi se ne sono sentite di tutti i colori. Fra insulti, gaffe ed endorsement, ecco l’alfabeto del referendum.
A come Accozzaglia – Vuol dire “turba confusa di persone spregevoli, o massa discordante di cose”. Il premier ha usato questa espressione per apostrofare il variegato universo schierato per il No alla riforma. “In questo referendum c’è un’accozzaglia di tutti contro una sola persona senza una proposta alternativa”, le parole di Renzi. “Abbiamo messo insieme D’Alema e Grillo”. Poi però il numero uno di Palazzo Chigi ha fatto retromarcia: “Mi scuso se ho offeso qualcuno, facciamo coalizione coesa”. La sostanza non è cambiata granché.
B come Boschi e Berlusconi – La prima è la madre della riforma, il secondo uno dei suoi grandi oppositori: voterà No ma non disdegnerebbe un successo del Sì, complici le aziende. In questi mesi Maria Elena ha girato l’Italia in lungo e in largo, senza contare le numerose ospitate tv. Poi l’hanno mandata all’estero e non è filato sempre tutto liscio. Come quando è stata contestata a Zurigo e per un attimo ha perso la calma e il sorriso. Che dire invece del leader di Forza Italia? Se il ddl Boschi passasse, ripete, il rischio è di “una dittatura di un uomo solo al comando”. Ma Mediaset vota Sì. E allora…
C come Cnel – Secondo i (pochi) sondaggi che hanno “spacchettato” il quesito, l’abolizione del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro è una delle poche cose votabili della riforma. Istituito nel 1957, ha diritto all’iniziativa legislativa ma in 59 anni ha presentato “solo” 14 proposte, nessuna delle quali diventata legge. Quanto si risparmierà con la sua eliminazione? Il Governo dice 20 milioni. Su Lavoce.info però l’ex commissario alla spending review Roberto Perotti ha parlato di soli di 3 milioni. “Il motivo principale è che la riforma ha disposto che tutto il personale del Cnel venga assunto dalla Corte dei Conti, quindi non vi sarà alcun risparmio su quel fronte”. Non proprio un grande successo.
D come Delrio – Se Renzi dovesse perdere il referendum e lasciare la guida del Governo, il nome del ministro dei Trasporti è in pole per sostituirlo. Anche se si tratterebbe di un cambio “di facciata”. Più un Renzi-bis senza Matteo che un Delrio I. Lui comunque ha le idee chiare: “Se vince il no bisognerà rimettere il mandato nelle mani del capo dello Stato che deciderà il da farsi”. Insomma, Delrio è pronto. Poi si vedrà.
E come Economist – Prima No, poi Sì. Ci mancava solo il forse. La scorsa settimana il noto giornale britannico (di cui Exor, società della famiglia Agnelli, è il principale azionista) è stato al centro di un caso abbastanza singolare: giovedì l’edizione settimanale si è schierata contro il ddl Boschi, prefigurando la creazione di un “governo tecnocratico” se Renzi dovesse perdere. Apriti cielo. Ma l’annuale, uscito il giorno dopo, ha invece rivolto un endorsement al Sì, prefigurando “instabilità politica e forse anche economica” in caso di successo del No. Idee chiare…
F come Financial Times – Che la stampa internazionale abbia partecipato attivamente a questa lunga campagna elettorale è indubbio. In questo quadro, non poteva mancare l’importante quotidiano economico-finanziario del Regno Unito. Se il prossimo 4 dicembre “Renzi perderà il referendum fino a 8 banche italiane rischiano di fallire”, ha scritto il Ft. L’invasione delle cavallette è scongiurata. Per ora.
G come Governo tecnico – Non solo l’ipotesi Delrio. Come ricordato, l’Economist ha aperto alla possibilità di un Governo tecnico in caso di sconfitta del Sì. Spauracchio subito agitato dal premier per fare propaganda per il Sì. Avevate dubbi?
I come Italicum – È la legge elettorale approvata a maggio 2015 ed entrata in vigore il 1° luglio 2016, che tutti vogliono già cambiare e sulla quale pende la pronuncia di legittimità della Consulta. È stato uno dei principali terreni di scontro fra i renziani e la minoranza del Pd, schierata per il No (con l’eccezione del “pontiere” Gianni Cuperlo). Per alcuni, le caratteristiche dell’Italicum amplificano gli squilibri della riforma; per altri la nuova legge elettorale per la Camera è coerente con le innovazioni costituzionali.
L come Lettere – Quelle che Renzi ha mandato agli italiani all’estero hanno scatenato un putiferio. Ma per certi versi si sono rivelate un boomerang per il premier, visto che un refuso riguardante l’indirizzo del sito Internet del comitato per il Sì ha finito con l’aiutare il No. Scherzi del destino.
M come Movimento 5 Stelle – A pochi giorni dal referendum è stato “colpito” dallo scandalo delle presunte firme false a Palermo. È però il vero asse portante del No alla riforma. Per i grillini, il referendum potrebbe rappresentare un trampolino di lancio verso il governo del Paese se vincesse il No, ma potrebbe anche condannarli a fare l’opposizione permanente se al contrario vincesse il Sì.
N come Napolitano – Il presidente emerito della Repubblica è uno dei padri della riforma. Voterà Sì, anche se non ha gradito né i toni della campagna, definita “aberrante”, né la personalizzazione del premier. E non gli ha risparmiato una pubblica tirata di orecchie.
O come Onida – L’accoglimento del ricorso dell’ex presidente della Consulta avrebbe potuto addirittura portare allo “spacchettamento” e al rinvio del voto. Il Tribunale di Milano lo ha respinto: Renzi ha tirato un sospiro di sollievo.
P come Prodi – L’ultimo colpo di scena di ieri. Il fondatore dell’Ulivo ha annunciato che voterà Sì, anche se la riforma è “poco profonda e poco chiara”.
Q come Quorum – Trattandosi di un referendum costituzionale, non sarà necessario raggiungerlo. Sarà valido con qualsiasi numero di elettori.
R come Risparmi – Il Governo sostiene che la riforma porterà risparmi per 500 milioni di euro all’anno. Ma a ottobre 2014 la Ragioneria generale dello Stato parlava di una cifra più contenuta: appena 57,7 milioni. Dal canto suo, il già citato Perotti parla di 161 milioni a regime: 131 dalla riduzione del numero dei senatori e dall’abolizione delle indennità, 3 dall’abolizione del Cnel, 17 dalla riduzione dei compensi dei consiglieri regionali e 10 dall’eliminazione dei contributi ai gruppi consiliari regionali. Insomma, i conti di Renzi&Boschi non tornano. Sarebbe il caso di rifarli.
S come Scrofa ferita – Renzi ha usato “accozzaglia”, Grillo gli ha risposto per le rime. Il premier, ha detto il fondatore del M5S, “ha una paura fottuta del voto del 4 dicembre. Si comporta come una scrofa ferita che attacca chiunque veda. Ormai non argomenta, si dedica all’insulto gratuito e alla menzogna sistematica”. Da che pulpito…
T come Twitter – Anche questa campagna elettorale si è giocata a colpi di tweet e post su Facebook. Gli account Twitter di “Basta un Sì” e del “Comitato per il No” hanno oggi – rispettivamente – 11.300 e 7.154 follower. Su Facebook i “mi piace” sono invece 159.274 e 151.507. Secondo una recente analisi de IlSocialPolitico.it, Twitter è terreno favorevole al Comitato del Sì mentre Facebook è dalla parte del No. Vedremo come andrà nel “Paese reale”.
U come Unico – Nessuno “spacchettamento”: sulla scheda gli italiani troveranno un unico quesito. Circostanza che ha dato vita a numerose polemiche. Per come è formulato, dicono le opposizioni, rischia infatti di essere fuorviante e trarre in inganno gli elettori.
V come Verdini – È un altro dei padri indiscussi del ddl Boschi, diventato determinante anche per gli equilibri del Governo Renzi dopo la nascita del suo gruppo, Ala. “Siamo in paradiso”, disse ad aprile dopo aver incontrato a Montecitorio i vertici del Pd. E si capisce perché.
Z come Zagrebelsky – Anche l’altro presidente emerito della Consulta è stato uno dei primi a schierarsi contro la riforma, arrivando a paventare l’ipotesi di non insegnare più Diritto costituzionale se dovesse vincere il Sì. È presidente onorario del Comitato per il No ed è stato uno dei pochi (insieme all’eterno Ciriaco De Mita) ad essersi confrontato direttamente con Renzi nel dibattito televisivo moderato dal direttore del Tg La7, Enrico Mentana.