Una bomba esplosa a Diyarbakir, una città nel sud-est a maggioranza curda della Turchia, ha ucciso 8 persone, 2 agenti di polizia e 6 civili, e ha provocato circa 100 feriti. E l’attentato ha causato una violenta stretta del presidente Recep Tayyip Erdogan sul partito filo-curdo Hdp, rappresentato in Parlamento grazie al superamento del 10% dei voti alle ultime elezioni: sono stati incarcerati numerosi esponenti del partito. Tra gli arrestati ci sono anche il leader Selahattin Demirtas e la sua vice Figen Yuksekdag, che al momento dell’atto terroristico si trovavano proprio a Diyarbakir.
L’accusa nei loro confronti è di fondazione e associazione a organizzazione terrorista e separatisa. Gli inquirenti sostengono di avere “solide prove”. Eppure fino a oggi l’Hdp era considerato un partito democratico, anche se Demirtas era già indagato per aver “insultato le Istituzioni statali” e nel corso dell’inchiesta non gli è stata riconosciuta nemmeno l’immunità parlamentare. Il leader dell’Hdp ha anche raccontato su Twitter le fasi del suo arresto: un gesto che aumenterà ulteriormente la tensione tra i curdi e il governo di Ankara.
Dall’Europa arrivano messaggi di preoccupazione: l’Alto rappresentante degli Affari esteri, Federica Mogherini, e il commissario Johannes Hahn hanno dichiarato: “Ci aspettiamo che la Turchia salvaguardi la sua democrazia parlamentare, incluso il rispetto per i diritti umani”.