L’Isis continua a bruciare petrolio e pneumatici per sollevare coltri di fumo con lo scopo di arrestare l’avanzata dell’esercito iracheno. Ma a Mosul, la seconda città più importante dell’Iraq attualmente governata dai jihadisti di al-Baghdadi, la battaglia sta proseguendo con i miliziani del Califfato costretti ad arretrare giorno dopo giorno. Secondo le ultime notizie dal fronte, l’alleanza dei soldati di Baghdad con i peshmerga curdi (a cui si aggiungono altre brigate paramilitari formate da combattenti sciete e tribù sunnite oppositrici dell’Isis) ha riconquistato la torre de tv ed è molto vicino all’aeroporto. In pratica c’è stato l’ingresso ufficiale nell’area urbana dopo la conquista, abbastanza agevole, di alcuni villaggi abbandonati.
Il primo ministro iracheno, Haider al-Abadi, ha lanciato un ultimatum ai nemici: “Non avete scelta, o la resa o la morte. Ci avviciniamo da tutti gli angoli e mozzeremo la testa del serpente. Non avete via di scampo né via di fuga”. Un appello che è comunque destinato a cadere nel vuoto, perché l’Isis vuole difendere strenuamente Mosul per il suo valore simbolico: proprio in quella città Abu Bakr al-Baghdadi si è autoproclamato Califfo. La preoccupazione è che la ritirata dell’Isis dai quartieri periferici sia strategica per concentrare tutte le forze, stimate in circa 10mila combattenti, nel cuore di Mosul. E resistere a lungo all’assedio trasformando la guerra in una “nuova Aleppo” in termini di catastrofe umanitaria, usando le migliaia di civili presenti come scudi umani.
Uno scenario che comunque i vertici militari iracheni, sulla base dei consigli dei generali statunitensi, non vogliono prendere in considerazione: per loro l’offensiva sta andando avanti secondo la tabella di marcia predefinita. E la coalizione punta pure su un’altra strategia: la sollevazione popolare nelle mura della città, che costringerebbe l’Isis ha fare i conti con un problema aggiuntivo, indebolendo le sue difese.