Tutto è andato secondo previsione: gli stipendi dei parlamentati sono salvi. Alla Camera la proposta di legge sulla riduzione delle indennità è stata spedita in soffitta, con il ritorno in commissione Affari costituzionali con un voto a maggioranza, che ha mandato su tutte le furie il Movimento 5 Stelle. E del resto nemmeno il più azzardato degli scommettitori avrebbe puntato un centesimo sul via libera al testo. Eppure, nonostante l’ira di Beppe Grillo, i pentastellati hanno potuto brindare: con la loro operazione hanno smascherato il bluff del Pd. E soprattutto hanno riscaldato gli animi degli attivisti radunati nei pressi di Montecitorio, come aveva chiesto lo stesso Grillo. Il voto per mandare il testo in commissione ha smentito pure il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che aveva tirato fuori il coniglio dal cilindro, chiedendo che le indennità degli onorevoli fossero legate alla presenza ai lavori alla Camera. Ma nessun emendamento è andato in questa direzione. Il ddl presentato dalla deputata grillina, Roberta Lombardi, non ha avuto vita lunga nell’Aula di Montecitorio. Il Partito democratico ha confermato la propria linea: spedire la palla in tribuna e prendere tempo. Impendendo di fatto l’approvazione di una riforma sui costi della politica in questa legislatura.
BENEDIZIONE
“Il Pd ha votato per affossare la nostra proposta di dimezzamento degli stipendi dei parlamentari”, ha sentenziato Grillo. Il fondatore del M5S, per cercare di convincere i dem, aveva addirittura scomodato la figura del Pontefice: “Non ci credo che il Pd non vota la nostra proposta per la riduzione degli stipendi. Pensate il Papa come sarebbe contento”, ha dichiarato prendendo anche spunto dalla benedizione del presidente della Cei, Angelo Bagnasco, che aveva “benedetto” una riduzione degli stipendi ai parlamentari. Decisamente meno ecumenico uno dei leader pentastellati, Alessandro Di Battista, esaltato dalla piazza: “Questa è gentaglia che non conosce il valore della democrazia. Sono ignobili”, ha accusato rivolgendosi alla maggioranza parlamentare. E ancora: “Una forza politica ha fatto una proposta ma loro non la votano e la rinviano in commissione. E poi dicono che occorre cambiare quasi 50 articoli della Costituzione”.
SI FINISCE IN TRIBUNALE
Lo scontro politico finisce di nuovo in Tribunale. E non è proprio una novità: i 5 Stelle hanno annunciato la querela nei confronti della vice capogruppo del Pd alla Camera, Alessia Morani. “C’è solo un gruppo politico che guadagna elettoralmente se tutto rimane uguale: si chiama M5S”, aveva accusato la deputata renziana. Ma il Movimento ha deciso la via legale, proseguendo un filone avviato già nelle scorse settimane. “Morani ha mentito dichiarando che i portavoce M5S arrivano a prendere 11mila euro al mese, che non si sono dimezzati, né l’indennità né lo stipendio e che sono diventati la casta”, hanno replicato dal Movimento. “Le espressioni utilizzate dalla Parlamentare del Pd sono solo menzogne e non corrispondono alla verità dei fatti”, hanno aggiunto i deputati pentastellati. Ma la Morani non è parsa turbata: “Il M5S mi querela? Caro Beppe Grillo, ci vediamo in tribunale, sarà un piacere. La verità vi fa male”.