Dopo Nokia, un altro (ex) grande del mondo dei cellulari esce dal mercato: Blackberry ha annunciato che smetterà di produrre smartphone (almeno direttamente; ne produrrà un numero molto limitato attraverso una joint venture indonesiana) e si dedicherà essenzialmente al software. Un segno dei tempi: c’è stato un periodo in cui non c’era manager che non avesse uno o più blackberry e fece scalpore che lo stesso Presidente Obama il giorno della sua elezione, il 4 novembre 2008, ne aveva uno in tasca che fu poi requisito dai servizi per motivi di sicurezza. Ora la casa canadese ne chiude la produzione dopo una serie di andamenti di vendita sempre più negativi dovuti alla incapacità di tenere il passo (soprattutto sul terreno delle app; senza Instagram e whatsapp che aveva già annunciato l’uscita per la fine dell’anno) con Apple e Samsung. In qualche modo è la fine di una epoca.
Sappiamo che lo studioso americano Nicholas Carr da tempo (da ultimo,con il libro “Che cosa sta facendo Internet ai nostri cervelli?”), tenta di metterci in guardia sul fatto che Internet ci sta rendendo tutti più stupidi. Carr sostiene, tra l’altro, che in pochi anni saremo tutti più superficiali, incapaci di concentrarci per più di qualche minuto o distinguere un’informazione importante da quelle irrilevanti. Ora uno dei più accreditati psicologi dell’apprendimento, il prof. Daniel T. Willingham dell’Università della Virginia, in un suo recente saggio sostiene che le più recenti ricerche dimostrerebbero che ciò non è vero. Il nodo cruciale è la capacità di concentrazione; gli scenziati la misurano sotto due diversi punti di vista: quanto si riesce a rimanere focalizzati su un concetto e quanto un concetto riesce a restare in mente. Ebbene le risultanze più recenti non sono troppo diverse da quelle di 50 anni fa quando di Internet non se ne aveva neppure l’idea. Quello che, secondo questa impostazione, la Rete ha davvero cambiato è l’enormità dell’offerta e quindi lo stimolo a vedere e cercare cose nuove; insomma si può dire che Internet non ha (ancora) modificato la capacità di attenzione del genere umano ma ha introdotto in tutti noi una insidiosa tendenza a pensare: ma non c’è qualcosa di meglio da fare o da vedere di quello che si sta facendo o vedendo ora? Ciò in sé può essere uno stimolo positivo a meno che non si trasformi in qualcosa di patologico che spinge verso la superficialità (non si approfondisce nulla oltre lo spazio di un tweet) e la frustrazione (l’ansia di cercare sempre il nuovo non può essere soddisfatta all’infinito e prima o poi si trova un limite).